Poltronismo o discriminazione? Esplode la destra e malcontento tra gli amministratori locali del Pd

per Gian Franco Ferraris

La Lega ha presentato un emendamento che portava il limite dei mandati consecutivi per i presidenti di regione e i sindaci, da due a tre. La maggioranza di destra che sostiene il governo di Giorgia Meloni si è platealmente divisa.

Il tema del terzo mandato agita da molti mesi il ristretto dibattito politico. La Lega di Matteo Salvini insiste da tempo per permetterlo. Giorgia Meloni ufficialmente ha preso tempo, e durante la conferenza di fine anno, il 4 gennaio, aveva detto di essere «abbastanza laica su questa materia», lasciando che a legiferare fosse il parlamento. Nei fatti, però, Fratelli d’Italia sia alla Camera sia al Senato ha sempre ostacolato i tentativi della Lega di portare a compimento l’idea. L’innalzamento del limite infatti aiuterebbe alcuni presidenti del Partito Democratico prossimi alla scadenza (Vincenzo De Luca in Campania, Michele Emiliano in Puglia, Stefano Bonaccini in Emilia-Romagna). E inoltre prolungherebbe la permanenza di esponenti della Lega alla guida di importanti regioni del Nord (Luca Zaia in Veneto, Attilio Fontana in Lombardia) che il partito di Meloni vorrebbe occupare a sua volta, avendo l’ambizione di esprimere un proprio candidato o candidata presidente al prossimo giro, in virtù del fatto che ora Fratelli d’Italia è il primo partito all’interno della coalizione di destra.

 Nel Partito Democratico c’è stato un certo dibattito: la questione del terzo mandato, come dicevamo, sarebbe vantaggiosa anche per qualcuno dei loro. E infatti prima del voto Bonaccini ha provato a persuadere alcuni senatori del PD ad assumere una posizione intermedia, evitando di partecipare alla votazione.

La destra si è spaccata e per alcuni opinionisti la questione che interessa una cerchia ristretta di politici, rischia di avere ripercussioni negative nel voto di domenica in Sardegna.
E’ curioso  annotare che la discussione sul terzo  mandato ha rischiato di spaccare pure il Pd. Prima che iniziasse la seduta della commissione, il gruppo del PD si è riunito in assemblea e la scelta di votare contro è stata condivisa a larghissima maggioranza, anche da senatori molto vicini a Bonaccini, come Daniele Manca. Ci sono stati alcuni – pochi – interventi critici, tra cui quello di Alessandro Alfieri, ma alla fine ha prevalso la scelta di votare contro insieme al M5S.

Di fatto la spaccatura del Pd è avvenuta tra i parlamentari largamente contrari a eliminare il tetto dei mandati e gli amministratori locali del partito preoccupati per il loro futuro. In calce ho riportato a questo proposito un estratto dell’orribile articolo di Maria Teresa Meli sul Corriere.  Difficilmente il Pd potrebbe aumentare il consenso popolare presentandosi sempre come un partito di notabili.

Ricordo che all’inizio degli anni ’90 con la riforma per l’elezione diretta di sindaci e presidenti di regione si assegnavano agli stessi anche poteri podestarili che mortificavano le competenze dei consigli comunali e delle giunte, mettevano il bavaglio alle minoranze e addirittura consentono a sindaci e presidenti di scegliere i dirigenti responsabili dei servizi – che non a caso sono i più incompetenti del mondo.

Probabilmente con qualche briciola di buon senso il parlamento ha introdotto il vincolo dei mandati per evitare una sistema feudale eterno. Lo stesso consenso bulgaro che riscuotono di solito i sindaci e i “governatori” uscenti ricorda più il regime feudale  che le democrazie.  Ho pubblicato (Qui) l’intervista a un vecchio sindaco di buonsenso di un piccolo comune del Lazio .

Di Giacomo Salvini per il Fatto Quotidiano

Terzo mandato, destra spaccata. Ora Salvini boicotta Truzzu

Per la seconda volta, la prima era stata la ratifica del Mes, il governo Meloni si divide in un voto parlamentare. All’ora di pranzo, in commissione Affari costituzionali al Senato, Fratelli d’Italia e Forza Italia, con l’aiuto di Pd, M5S e Alleanza Verdi e Sinistra, bocciano l’emendamento leghista al decreto Elezioni che chiedeva di eliminare il tetto dei due mandati per i presidenti di Regione. In realtà la norma era scritta in modo tale che si azzerasse tutto con la possibilità di arrivare a 6 mandati. A ogni modo, l’emendamento viene bocciato: 16 contrari, 4 favorevoli e un astenuto. Con la Lega vota solo Italia Viva, che punta sulle divisioni del Pd che ha “tradito i suoi amministratori”.

Anche se la premier Giorgia Meloni da Bruno Vespa prova a minimizzare (“la proposta non era nel programma di governo e non avrà conseguenze sull’esecutivo: c’è stata una discussione nella massima serenità, il nostro governo è il più stabile”) e anche Matteo Salvini dice che “è un errore, ma non c’è conseguenza per il governo”, il voto di ieri lascia una pessima scia nei rapporti tra Lega e FdI. Il capogruppo del Carroccio al Senato Massimiliano Romeo, poco prima del voto, fa capire che l’ordine è arrivato dal capo: “Andiamo avanti sul terzo mandato…” ripete a macchinetta. Dopo il voto in commissione, il leghista Stefano Tosato aggiunge: “Non è finita qui”. Replica il ministro dei Rapporti col Parlamento, Luca Ciriani: “Io questa mossa non l’ho capita, avevamo chiesto il ritiro dell’emendamento e non è successo: si poteva evitare…”. La prossima settimana in aula al Senato la Lega ripresenterà l’emendamento facendo scoppiare il caso politico, stavolta nel governo: in aula, infatti, ogni partito dovrebbe esporsi con una posizione precisa con tanto di dibattito e poi voto parlamentare. “L’aula è sovrana”, conferma Salvini.

Tensioni che si intrecciano con il voto di domenica in Sardegna. Il comizio congiunto di mercoledì a Cagliari non è servito per far ritrovare l’unità tra gli alleati di governo. Tant’è che Salvini sta facendo campagna in Sardegna per la lista della Lega, ma non per il candidato del centrodestra Paolo Truzzu. Spera nella sconfitta dell’attuale sindaco di Cagliari per poi rinfacciare alla premier che “non si sta così in coalizione”. Non è un caso che il leghista stia girando l’isola facendo campagna per la sua lista: il Partito Sardo d’Azione potrebbe fare voto disgiunto sostenendo Renato Soru. “Io e Salvini non ci siamo quasi mai incrociati – ammetteva mercoledì dopo il comizio proprio Truzzu – lui è qui perché i sondaggi danno la Lega molto bassa, intorno al 3%”. Un’ipotetica sconfitta permetterebbe a Salvini di rivendicare la centralità nella coalizione addossando tutte le colpe alla premier. Dall’altra parte Meloni sembra abbastanza convinta della vittoria: ieri nel mattinale Ore 11 auspicava che dal voto in Sardegna la premier e Schlein potessero “trarre qualche indicazione sulle future strategie politiche in vista delle Europee”.

Ma la partita del terzo mandato sta creando spaccature anche nella Lega. Luca Zaia ieri ha spiegato che “la partita è lunga” e la forzatura di Salvini potrebbe essere stata fatta proprio per far vedere al suo governatore di averci provato per poi convincerlo a candidarsi alle Europee (anche se potrebbe essere un boomerand per il leghista). Massimiliano Fedriga ha scritto una lettera al ministro Calderoli per chiedergli di affrontare la questione in Conferenza delle Regioni: se ne riparlerà. Anche nella Lega ci sono figure, come Fedriga e Romeo, che erano contrarie al muro contro muro con Chigi. E anche se Meloni è contraria al terzo mandato (“va inserito un limite di due per il premier”), la sottosegretaria Wanda Ferro di FdI ha ammesso che la sede per la discussione è un’altra, il Testo Unico Enti Locali che arriverà in Parlamento più avanti. Dopo le elezioni, quando i rapporti di forza nella Lega saranno più chiari.

 

Maria Teresa Meli per il “Corriere della Sera” – Estratti

bonaccini schleinBONACCINI SCHLEIN

Malcontento, rabbia, amarezza: gli amministratori locali del Pd sono in rivolta per le «decisioni prese da Roma». Ma anche nel partito e nei gruppi parlamentari serpeggia una forte insoddisfazione per il voto che ieri ha bocciato la possibilità di un terzo mandato dei presidenti di Regione. Poi ognuno declina la propria scontentezza a modo suo. Chi con parole misurate, chi con toni ultimativi.

I senatori dem si erano lasciati mercoledì con l’idea di non partecipare al voto. Del resto l’istituzione, nell’ultima direzione nazionale, di un gruppo di lavoro sul tema del terzo mandato era apparsa come una piccola apertura della segretaria. Ma ieri il capogruppo Francesco Boccia ha convocato il gruppo alle 7 e 30 e ha annunciato che la linea era quella di votare «no».

Una volta appurato che i 5 Stelle non accettavano di non partecipare al voto, come ipotizzava il Pd, la decisione è stata presa dalla stessa Elly Schlein per «dare un’immagine di compattezza delle opposizioni e di divisione della maggioranza». «Una scusa per seguire ancora una volta Conte e il M5S, visto che in realtà l’opposizione è andata in ordine sparso» commenta sarcastico un senatore.

elly schlein stefano bonaccini - manifestazione piazza del popoloELLY SCHLEIN STEFANO BONACCINI – MANIFESTAZIONE PIAZZA DEL POPOLO

Nella riunione un terzo del gruppo dem si è schierato contro la scelta annunciata da Boccia. Tra questi Alessandro Alfieri: «Sono amareggiato perché in questo modo si delegittima chi lavora ogni giorno per unire». A chiudere la discussione è stato Dario Franceschini: «Ma siamo matti? Si vota tra tre giorni in Sardegna, non possiamo dividere il fronte che lì si presenta unito».

Stefano Bonaccini non ha gradito un voto che appare come un altolà all’ipotesi di un suo terzo mandato: «Ne parleremo dopo le elezioni in Sardegna, perché non possiamo fare finta di niente e lasciar cadere la cosa, qui non sono stati rispettati gli accordi, qui c’è chi lavora per cercare di tenere il Pd unito e chi invece non ha questo obiettivo», dice ai suoi.

schlein bonacciniSCHLEIN BONACCINI

Dopodiché il governatore dell’Emilia-Romagna detta una nota che viene attribuita a fonti di «Energia popolare», in cui si esprime «forte disappunto» per quanto è avvenuto. «Non è stato rispettato l’accordo preso in direzione e non si è salvaguardata l’unità del partito», è l’atto d’accusa.

È finita l’era della collaborazione con Schlein, avvertono i riformisti dem. Nel frattempo la chat dei sindaci dem è a dir poco in subbuglio. Chiedono ad Antonio Decaro di intervenire come Anci (cosa che lui fa, sottolineando che «i diritti degli elettori di 730 Comuni sono ostaggio di uno scontro di Palazzo»). Il voto viene visto come uno schiaffo a Bonaccini, Emiliano e De Luca (il quale, però, è solito dire che il terzo mandato lo può fare «pure se il Pd non vuole») ma anche come un no ai primi cittadini.

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