Fonte: La Stampa
Il contrappasso dei nostri sovranisti, per Trump siamo tutti “clandestini”
Non ci sono più Statue della Libertà, solo paure. L’Occidente ricorda il mondo oltre il Muro di Berlino
Un gioco di specchi. Svegliarsi e scoprirsi potenziali clandestini, potenziali indesiderati, potenziali espulsi, forse potenziali deportati nel carcere simbolo della detenzione a tempo indeterminato senza accusa né processo: Guantanamo, isola di Cuba. Italiani, tedeschi, francesi, europei in genere, i popoli dell’orgoglio civilizzatore, quelli che da anni accarezzano il racconto sovranista: fuori da qui i contaminati, i paria, i fuoricasta, remigriamoli anche se hanno i documenti in regola, e se non li hanno ammucchiamoli in Ruanda, in Albania, ovunque lontano dai nostri occhi e dalle garanzie legali che obbligano a faticose gestioni. Un gioco di specchi: per l’America quei fuoricasta siamo noi. Per l’America c’è o ci potrebbe essere un viaggio a Guantanamo anche per le migliaia di cittadini del vecchio Continente che sono lì senza un visto, o in attesa del rinnovo di un visto, o soltanto per la sbadataggine dei vent’anni che dopo una vacanza suggerisce di fermarsi ancora un po’ e vedere che succede. Clandestini, tutti.
Ma le domande che ci riguardano restano. Quei due italiani, e poi gli altri 798 europei destinati a un rimpatrio coatto senza processo e possibilità di ricorso, come li giudicheremo? Clandestini, abusivi, feccia, oppure persone che hanno creduto alla libertà di provarci in un Paese che pensavano amico? Nel primo caso neanche si dovrebbero attivare le risorse consolari, hanno sbagliato, paghino, magari pure a Guantanamo che tutto sommato è soltanto un’Albania più grande, se la sono meritati. Nel secondo si dovrebbe ammettere che non tutti gli irregolari meritano la tagliola dell’espulsione, che un visto scaduto o mancante magari è solo l’effetto di un problema burocratico, di norme inadeguate, e non sinonimo di delinquenza.
Poi, ecco, si dovrebbe dire anche dell’America che una volta era la fiaccola di Lady Liberty – il suo titolo completo è “la libertà che illumina il mondo” – ed Ellis Island, dove l’Europa povera degli italiani, degli irlandesi, dei polacchi, trovò per decenni un approdo certo e una speranza. Ma sono favole d’altri tempi. Nel gioco di specchi dell’oggi noi cacciamo loro e quegli altri cacciano noi. Non ci sono più torce risplendenti nella notte ma soltanto paure, persino dove l’accoglienza regge ancora. In California arriva la Guardia Nazionale, arrivano i Marines, la tolleranza non è più consentita e il sindacalista che si siede davanti al blindato per fermarlo è arrestato, rischia sei anni di carcere (dice niente all’Italia che ha appena introdotto il reato di resistenza passiva?). Occidente, dicono. Ma comincia a somigliare ad altre cose, quelle che una volta accadevano dall’altra parte del Muro di Berlino.