Recalcati: “Vivere in emergenza – la contrapposizione tra vita/istituzioni”

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Massimo Recalcati
VIVERE IN EMERGENZA.
LA CULTURA DEL POPULISMO. LA CONTRAPPOSIZIONE VITA-ISTITUZIONI. LA CONCEZIONE DELLA LIBERTA’. CACCIARI.
Intervento di Massimo Recalcati a “In onda” di ieri, 13 novembre 2021
Trascrizione precisa di Giovanna Ponti
“Ai miei occhi quello che vediamo (nelle piazze) viene da una cultura che ha dominato nel nostro paese gli ultimi decenni, la cultura del populismo.
La cultura del populismo porta con sé una cultura anti-istituzionale, e la scienza è una istituzione e quindi diviene un bersaglio del populismo, così come le competenze.
Quello che stiamo vedendo è l’idea assolutamente balorda di queste persone che contrappongono la vita alle istituzioni.
E’ così che è nata l’antipolitica: da una parte c’è la purezza, la forza della vita e dall’altra il marcio, la corruzione, l’alienazione delle istituzioni. Si contrappone da una parte il bene, la vita, dall’altra il male, le istituzioni. Mi chiedo: ma se non fossero esistite le istituzioni, fra le quali la scienza, in questa fase così tremenda per tutto il nostro pianeta, dove saremmo finiti?
Le istituzioni non sono nemiche della vita, la vita senza istituzioni è una vita che si perde, che si smarrisce.
Pensiamo solo alla funzione straordinaria che la famiglia ha avuto in questa pandemia, senza l’istituzione della famiglia saremmo stati come turaccioli sballottati da una tempesta.
Ecco io penso che al fianco di tutte queste proteste, no-vax no-green pass, ci sia questa mentalità populista anti-istituzionale che non vede che la vita e le istituzioni sono due facce della stessa medaglia.
Ora è chiaro che la crisi poteva essere gestita in modo diverso, sono stati fatti degli errori, ma questo non deve compromettere la fiducia nelle istituzioni. Se noi non recuperiamo la fiducia nelle istituzioni, fra cui la scienza, certo non la scienza come religione ma la scienza come ricerca, come competenze, come un sapere che si impegna per fare il bene della comunità, se noi perdiamo fiducia nelle istituzioni , noi siamo persi.
Io penso che la vera pazienza deve essere la pazienza delle istituzioni. Siamo abituati nella cultura populista a pensare alle istituzioni puro luogo di commercio e corruzione.
Pasolini parlava invece, lui che era un anarcoide e per certi versi antiistituzionale, parlava di una “poetica delle istituzioni”. Questo è il tempo di provare a recuperare una poetica delle istituzioni.
Pasolini diceva in una delle sue poesie che nelle istituzioni c’è qualcosa di misterioso e di commuovente, noi abbiamo perso questo contatto con le istituzioni.
Il covid è stato un grande magistero di cui noi non dovremmo dimenticare la lezione.
La prima lezione fondamentale del covid è che ci sono due rappresentazioni possibili della libertà. Da una parte c’è la concezione che ahimè si è affermata prima del covid, che è quella che ritiene che la libertà sia una proprietà dell’”io”, dell’individuo, e che quindi coincide fondamentalmente nel fare quello che si vuole, coincide con l’arbitrio. Noi abbiamo ereditato da una cultura neolibertina pre-covid questa nozione di libertà.
Il covid ci ha insegnato che la libertà non è qualcosa che voi immaginate, non è l’arbitrio, non è una proprietà della volontà. La libertà senza solidarietà, senza pensiero del vincolo, della relazione, della cura dell’altro è pura impostura.
La minoranza che manifesta contro il green-pass rivendica una versione neolibertina, vorrei dire puberale, della libertà.
Sono gli adolescenti che pensano che la libertà sia fare quello che si vuole.
Noi invece sappiamo che la salvezza sarà collettiva o non ci sarà.
Poi c’è un altro problema.
Ci sono inoltre in queste persone delle evidenze cliniche. Sono gli adolescenti, i bambini che fanno fatica a sopportare il peso della realtà. Gli adulti invece si confrontano con il peso della realtà e quando lo si nega o lo si rifiuta, io dico che c’è dell’ideologia. L’evidenza della realtà è subordinata ad un’idea e cioè che c’è un complotto, c’è un interesse delle industrie farmaceutiche, c’è la spinta della democrazia a trasformarsi in dittatura.
La responsabilità dell’intellettuale non si limita alle intenzioni.
E’ chiaro che Cacciari, e con lui anche altre autorevoli personalità, cerca di porre un problema filosofico-giuridico, ma la responsabilità non può limitarsi al piano delle intenzioni perché implica delle conseguenze. Le parole hanno delle conseguenze. Vedere che sotto i post di Giorgia Meloni, Cacciari è evocato sistematicamente come un punto di riferimento culturale, fa impressione.
Bisogna pesare le parole.
La vita adulta, diversamente dalla vita dell’adolescenza e del suo inguaribile narcisismo, consiste nel tener conto che le parole hanno delle conseguenze”.
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