Se a Venezia non resta che il boicottaggio

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Anna Foa
Fonte: La Stampa

Se a Venezia non resta che il boicottaggio

Mentre a Gaza la situazione precipita ogni giorno di più verso un genocidio conclamato, in Italia la discussione si è concentrata negli ultimi giorni sul problema del boicottaggio culturale: si deve, si può boicottare la cultura, si è detto a proposito dell’appello a escludere l’attrice israeliana Gal Gadot dal Festival di Venezia fatto da numerosi intellettuali e cineasti?

La cultura non dovrebbe essere un ponte di pace e non un muro di esclusione, ci si è chiesti? E l’attrice in questione, protagonista del riadattamento del cartone animato di Disney, Biancaneve, è stata esclusa perché israeliana o per le posizioni assunte in passato rispetto alla distruzione israeliana di Gaza? La polemica su di lei era già nata a marzo all’uscita del film, quando la coprotagonista, Rachel Zegler, era stata richiesta dal produttore di cancellare un suo post che diceva «Free Palestine!».

Il richiamo al concerto previsto a Caserta del direttore d’orchestra russo Gergiev e annullato in seguito alle proteste di molti, fra cui la comunità ucraina in Italia, è emerso di nuovo come un mese fa. Gergiev non è stato colpito dal boicottaggio in quanto russo ma in quanto sostenitore e propagandista di Putin. Nel suo caso quindi, non di boicottaggio culturale si trattava, ma del rifiuto di offrire un palcoscenico a un aperto sostenitore dei criminali di guerra russi.

Dobbiamo inoltre, come ha scritto Gad Lerner in un post recente sui social, tener presente la possibilità che le persone cambino idea, sia gli israeliani sia gli stessi sostenitori di Hamas. La tendenza ad orientare le esclusioni e i boicottaggi sulle responsabilità individuali dei singoli e non in generale sull’essere cittadini di uno Stato impegnato in politiche criminali, sia la Russia che Israele, non può portarci però a trasformare ogni scelta in un processo, ad impegnarci nel valutare prima di ogni altra cose le responsabilità di ogni presa di posizione, di ogni scelta politica individuale anche superata?

D’altra parte, le sanzioni da parte degli altri Stati, quelle dell’Unione europea contro Israele, sono un’arma che se attuata potrebbe rivelarsi decisiva nel fermare il massacro, nel lasciar passare i rifornimenti, nell’arrivare ad una tregua che salvi anche la vita ai pochi ostaggi ancora in vita. E questa è, in questo momento, la priorità assoluta, fermare il genocidio. Ma questo tipo di sanzioni non sono attuate. Le armi continuano ad essere vendute, i rapporti economici sono intatti. Che fare?

Tutti tendono ormai a fare di tutt’erba un fascio. Nei social, ad ogni degenerare della situazione, ad ogni nuovo massacro come quello del 25 agosto dei cinque giornalisti, si tende a minimizzare al massimo la volontà di resistenza di una parte importante degli israeliani. Quanti in Italia conoscono il movimento che porta i giovanissimi nei villaggi beduini, con gravi rischi, per far loro da scudo alle violenze dei coloni? Giorni fa la macchina di una ragazza di diciotto anni, Rivka, figlia di Ygal e Galila, miei amici, è stata data alle fiamme e gli attivisti maltrattati in un villaggio. Quanti di coloro che scrivono contro tutti gli israeliani avrebbero questo coraggio? Anche sugli ostaggi, troppi sono state negli ultimi tempi i rifiuti da parte dell’opinione pubblica di valutarli come esseri umani, troppi i riferimenti a loro come a soldati responsabili di genocidio. Vogliamo ricordare, per evitare generalizzazioni pericolose, quanti degli ostaggi erano membri dei kibbutzim di “sinistra”, da sempre impegnati nel rapporto con i palestinesi. Ricordate Oded Lifschitz, l’83enne giornalista membro dei movimenti pacifisti che aiutava a portare i bambini malati di Gaza negli ospedali israeliani?

In conclusione, credo che, in assenza di misure più efficaci, rinunciare all’arma del boicottaggio culturale in nome della libertà di opinione sarebbe in questo momento un errore. Perché siamo in un’emergenza spaventosa, in cui mentre noi disquisiamo troppi gazawi muoiono. Qualsiasi arma pacifica a nostra disposizione deve, oggi, essere usata.

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