di Alfredo Morganti – 14 gennaio 2019
Confesso: non ce l’ho fatta a leggere il pezzo di Baricco sulle élite pubblicato venerdì da ‘Repubblica’. Era chiedere troppo a me stesso. Ho una certa età e debbo iniziare a preservarmi. Poi un intervento, oggi sullo stesso giornale, di un maestro elementare mi ha, invece, convinto a farlo. Una cosa è certa: chi non l’avesse letto non si è perso niente. Per almeno una ragione, questa: “Smetterla di dare alla politica tutta l’importanza che le diamo: non passa da lì la nostra felicità”. Ha detto così Baricco. Sapete, invece, io come la penso? Che il distacco tra le élite (ma io dico i governanti, ossia la classe dirigente) e il ‘popolo’ (ma io dico i governati, ossia i cittadini) è nato proprio perché si è smesso di dare importanza alla politica e alla sua capacità di rappresentanza anche istituzionale, sostituendo a essa, sotto i ricchissimi colpi del neoliberismo, il nulla di nulla in termini di mediazione, sapere sociale, istituzioni, rappresentanza, partecipazione. Voi prendete il casino sociale ed economico, i conflitti, le lotte, ecc., quindi togliete di mezzo la politica e vedrete che ne resta. Esattamente il caos attuale, alla base come ai vertici. Dunque, uno che vuole ragionare sul conflitto tra élite e ‘popolo’, e consiglia di mettere da parte la politica (il male assoluto a fronte del bene culturale?), come minimo è fuori strada e, come massimo, non ci ha capito niente pur predicando dalle colonne di un giornale.
Senza la politica, dovrebbe ormai essere evidente persino ai grandi scrittori, manca il soggetto che deve attivarsi per fare delle scelte e realizzare una strategia di cambiamento. Così, quando Baricco alla fine dell’articolo fornisce la sua personale ricetta, sembra più un’esortazione morale che una fattiva strategia. Dice che bisogna investire in cultura, istruzione, leggere libri, tornare a fidarsi delle élite, ridistribuire ricchezza e ridare significato a parole come ‘progresso’ e ‘sviluppo’. Tutto condivisibile. Ma il punto è: ‘chi’? ‘Chi’ dovrebbe impegnarsi nella realizzazione di queste cose, la ‘gente’ che Baricco invoca? Quale soggetto dovrebbe dare impulso a queste azioni? Se Baricco pensa, appunto, alla ‘gente’ o al ‘popolo’ (qualunque cosa misteriosa esso sia) è un ingenuo. Se pensa alle élite, invece, almeno nel senso di classe dirigente, chiede in modo surrettizio un intervento politico laddove poco prima ne ha negato il valore. Dunque? Una volta si diceva che la politica non è per i ‘grandi scrittori’. E mi pare che questo caso lo confermi, persino per ammissione personale, visto che Baricco consiglia proprio di disfarsene.
Suggerimento finale: e se invece di parlare di élite e ‘popolo’, si parlasse di ‘governanti’ e ‘governati’, non sarebbe più efficace? Non è meglio tenersela la politica, per quanto brutta e cattiva, invece di gettarsi a pesce in un oceano-mare dove non si capisce più ‘chi fa cose’ e con quali risorse? Dove il soggetto (partiti, istituzioni, cittadini organizzati), unico garante di una politica democratica, è messo da parte invece di essere individuato e messo nelle condizioni democratiche di agire (‘agire’ non ‘fare’)? Hai voglia a dire (non è bastato l’intero Novecento) che il soggetto non esiste se non nell’ordine del discorso. È come dire che la politica è finita e gli ultimi non hanno più alcuna speranza. La politica non produce felicità, non è il suo mestiere, ma di certo è impegnata a riempire i vuoti della nostra esistenza, a renderci soggetti invece che passivi consumatori di idee e beni altrui. Questo sarebbe un tema da grande scrittore, ma Baricco lo ‘buca’ impunemente, mangiandosi un gol grosso come una casa.


