“Repubblica” e il governo. L’avventura dell’ambivalenza

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti

Strana cosa l’opposizione mediatica, se pensate che alcuni giornali (come ‘Repubblica’) sin dall’inizio hanno bombardato l’idea stessa che questo governo si potesse formare e, contemporaneamente, oggi richiamano con severità l’esecutivo ai propri obblighi europei. Delle due l’una: o il governo non si doveva formare (e si doveva votare), oppure esso si è saggiamente costituito (e allora perché scatenare la contraerea ab origine?) ed è giusto che lavori positivamente sul fronte dell’UE. L’articolo di Andrea Bonanni oggi sul giornale di Verdelli è paradigmatico. Contiene un amalgama mal riuscito dei due argomenti: quello del governo nato male, diviso al proprio interno e incapace di assolvere un ruolo, da una parte – e, dall’altra, quello del fervido e incessante richiamo dell’esecutivo ai suoi fatali compiti europei. Si tratta di una vera contraddizione in termini, astratta al punto che Hegel la definirebbe di sicuro “mancante di dialettica”, senza una risoluzione efficace e condannata perciò alla propria inconcludenza.

Come si possono auspicare le elezioni al posto di questo governo e, nello stesso tempo, evocarne la necessità almeno nelle vesti di indispensabile referente e interlocutore europeo (prima che l’Europa perda la pazienza, eh)? Infatti non si può. È che questa sia una palese contraddizione, persino un paradosso, lo dimostra nel pezzo di Bonanni il saltellare da un argomento all’altro senza una regola precisa. Certo, il nuovo governo ha consentito un calo dello spread e ha incassato un “assegno politico” da Bruxelles, ma più per demeriti del governo precedente. Certo, c’è stata una lettera dell’Unione Europea, ma è stata blanda. Certo, il governo è eterogeneo e pieno di liti, ma Gualtieri sta operando bene. Certo, la manovra non risolve nessun problema, anzi è l’ennesima occasione perduta, ma questa “manovra ci consente di evitare il rincaro generalizzato dell’IVA e […] otterrà senza troppi drammi il via libera dall’Europa”. Tant’è che la legge di Bilancio in preparazione “resta di gran lunga migliore di quella dell’anno scorso” (ecco).

Ma se è così, se a denti stretti si ammette che la situazione attuale è migliore della precedente (e non è poco), perché questo governo non sarebbe dovuto nascere? Perché lanciare le palle incatenate mediatiche, quando qui e là, soffertamente, spirano a malavoglia dei riconoscimenti? E perché soprattutto parlare, senza mezzi termini, di “divisioni interne al governo”, di “esasperata ricerca di visibilità delle sue eterogenee componenti in perenne competizione tra loro”, quando è chiaro pure ai ciechi che chi alza i toni e sgomita sono i soliti noti, a partire da Renzi e dalla sua necessità di fare casino per farsi riconoscere in mezzo alla folla? E quando è chiarissimo che ci sono alcune componenti che tirano convintamente la carretta dell’esecutivo (come PD e Leu) e altre che svolgono una funzione frenante, dilazionano i termini, traccheggiano, si oppongono come se fossero opposizione, tirano petardi e accendono miccette pur di mostrarsi italia-vivi? Oppure, nella sfrenata (e ingiustificata) ambizione da leader, antepongono se stessi all’interesse generale, che è invece quello di chiudere definitivamente con una stagione di chiacchiere, premi maggioritari, leaderismo d’accatto, governismo, antipolitica, sovranismi, per riprendere una strada interrotta, a mio parere, 30 anni fa, quando prendemmo una sbornia tale da non esserne ancora usciti, media (e ‘Repubblica’) per primi?

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