Lo Stato, i poteri locali e il bene comune
Fatemi dire una cosa. È giusto che vi sia un’iniziativa uniforme nel Paese per contrastare gli effetti del coronavirus. È giusto che localmente non si prendano iniziative estemporanee, contraddittorie, fuori contesto. Ma è anche giusto che un Sindaco, un Presidente di Regione, se ritengono necessarie delle misure ad hoc, calibrate sullo specifico stato del comune o della regione che guidano, invece di ‘pressare’ il governo sui media, invece di dare l’impressione che il governo li freni, assumano responsabilmente alcune decisioni coerenti con gli indirizzi generali di lotta al virus. Servono delle zone rosse locali? Ci si coordini col governo e si decidano localmente. Bisogna frenare ancora l’attività produttiva? Non si chieda reiteratamente un intervento del governo, si agisca laddove è possibile. Oggi il prof. Galli diceva che in città ancora si fanno le strisce stradali. Bene. I comuni, che hanno la specifica competenza in materia, interrompano allora questa e altre attività proprie e ritenute non essenziali. Possono farlo e devono farlo se lo si ritiene necessario. Non serve mica un decreto del governo. A meno che non si temano le rimostranze delle aziende concessionarie, o peggio un qualche ricorso in assenza di una copertura da parte dell’esecutivo. La politica è responsabilità, non una presenza costante e rivendicativa sui media. Invece delle dirette fb, le autorità locali alzino il telefono di Palazzo Chigi e ne discutano senza far scattare l’intemerata sui social subito dopo. Non sarà un post o un video a salvare vite umane, non saranno i faccioni che ‘esigono’ questo o quello o danno ultimatum, ma un’efficace dialettica tra i poteri dello Stato, in linea con la più efficace possibile ricerca del bene comune.


