Anno Primo D. C. (Dopo Covid). Stress test per le democrazie?

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Andrea Mignone

Anno Primo D. C. (Dopo Covid). Stress test per le democrazie?

 

I governi stanno fronteggiando, nel corso dell’epidemia, problemi mai affrontati prima. Mentre le democrazie operano con il consenso, le autocrazie reagiscono con misure radicali che minacciano il rispetto della legge. Chi è meglio attrezzato per adeguate risposte? Le prime restrizioni sono apparse risposte non diverse dei due tipi di regime. In verità vi è una grande differenza: la trasparenza nell’azione e nella capacità di “responsiveness” delle democrazie. L’improntare l’azione pubblica al principio della trasparenza e al dovere di dare risposte ai cittadini è tratto costitutivo del patto che lega i cittadini allo Stato. Certo, restrizioni alla libertà di circolazione, ruolo dominante dell’esecutivo sul legislativo, dissuasione delle manifestazioni e di azioni da parte di movimenti debbono durare lo stretto necessario per uscire dall’emergenza. In caso diverso rappresenterebbero un vulnus nei principi fondamentali della democrazia. Nella lotta alla pandemia, le democrazie hanno un altro vantaggio: la fiducia (“trust”). Ma questa va coltivata e rispettata, non aggirata o ignorata. La società civile deve rimaner attenta su questi principi.

Per un momento è parso che la condivisa vulnerabilità del genere umano abbia reso chiaro che non vi sono alternative ad una condivisa governance globale e alla cooperazione internazionale.

La crisi sanitaria ha per un momento sospeso la caduta di fiducia nel “sistema” e nei suoi attori pivotali. Ma il mordere della crisi economica, senza azioni lungimiranti e strategiche ridarà fiato a poteri illiberali e a sovranismi nazionalistici, senza tener conto che questi, più delle democrazie, non hanno saputo affrontare l’epidemia con efficacia, pur abbondando in misure quasi poliziesche e senza molta trasparenza nelle politiche di intervento.

L’epidemia può anche farci abbandonare la fede nel progresso e nella fiducia. La democrazia è ontologicamente legata allo sviluppo economico, alle politiche redistributive conseguenti e alla messa in opera di ascensori sociali. La fiducia è un altro requisito essenziale per il funzionamento delle istituzioni. Ma non sempre le democrazie liberali sono state capaci di corrispondere a questi principi. Gli effetti della disintermediazione hanno contribuito all’allentamento della fede in questi due capisaldi dei regimi democratici. Neanche le competenze scientifiche hanno colmato questa frattura. Il fideismo per la scienza (usata talora per non assumersi responsabilità proprie della politica) è stato presto scalfito dalle liti tra esperti e dalle fake news: ma la scienza è ricerca, processo fatto di errori e tentativi per approssimazioni successive. Non ha risposte preconfezionate. Pensare che possa fare il “lavoro” della politica è un errore. La scienza può dare sostegno alle scelte, ma queste attengono alla politica (come scrisse Weber: “il professore non deve portare nella borsa dei libri il bastone del maresciallo”).

Covid-19 ha messo in luce lo scontro tra le diverse percezioni del tempo che hanno questi differenti attori coinvolti. Il tempo dell’economia si scontra con i tempi dell’epidemia. Scienza ed economia si sono confrontate con esigenze differenti. Una seconda ondata potrebbe ulteriormente delegittimare gli esperti.

Covid-19 ha portato nuovi argomenti alle critiche della globalizzazione o in particolare a ciò che è stato definito come globalizzazione “neoliberista”. La diffusione della pandemia nel giro di pochi mesi sarebbe stata impensabile senza alti livelli di mobilità di persone e cose. Alcuni difetti della globalizzazione si sono palesati con maggior forza. La divisione globale del lavoro e la lunga catena della produzione hanno rivelato la vulnerabilità delle società sviluppate, ad esempio, a causa della loro incapacità di soddisfare il bisogno di strumenti di base di protezione sanitaria, quali le mascherine in caso di emergenza. Le ineguaglianze generate dall’economia digitale sono ora ancora più visibili dall’impatto del virus. Negli Usa, ad esempio, dove la rete di sicurezza sociale è debole, il virus morde più forte tra i gruppi marginalizzati, generando più contagi e morte e più profonde conseguenze economiche. La lezione fin qui imparata è che le società con un welfare più forte sono più resilienti alle sfide del Covid-19, almeno in termini di riduzione delle diseguaglianze nei trattamenti. Ma questa lezione difficilmente sarà compresa. Colpiti anche dagli effetti economici negativi i perdenti dal coronavirus si aggiungeranno ai perdenti dalla globalizzazione ampliando l’elettorato dei leaders populisti. Questa è notizia non buona per i sistemi multilaterali e per l’Unione Europea.

Tendenze illiberali erano già presenti prima del virus. Sono visibili nelle agende politiche di movimenti populisti di destra, e anche in alcuni governi come quelli di Ungheria e Polonia, così come in atteggiamenti di Trump e Bolsonaro. Molti governi hanno adottato in presenza del virus misure e procedure di emergenza, limitando temporaneamente il coinvolgimento del Parlamento. Resta da vedere cosa accadrà in caso di seconda ondata e di emergenza prolungata. Manifestazioni contro il lockdowns le limitazioni delle libertà personali si sono già attivate. A queste si sommano proteste per gli strappi sociali provocati dalla crisi.

La rivoluzione digitale ha già sfidato l’ordine liberale per molte ragioni, tra le quali il suo impatto economico (delocalizzazione, trasformazione del mercato del lavoro) e il suo effetto sulle informazioni dei cittadini. La rivoluzione digitale ha alterato il rapporto tra pubblico e privato, così come la fiducia nella protezione dei diritti da parte delle istituzioni. Covid-19 ha accresciuto il rilievo della rivoluzione digitale per le nostre vite, dalla sfera dei contatti privati a quella della politica “alta”. Se il virus ha gettato una luce positiva sulle opportunità fornite dalla connettività digitale, ha anche mostrato come siamo dipendenti dagli strumenti digitali e influenzati dai rischi dello strumento. Le fake news sono diventate la nuova frontiera della disinformazione, rischiando di mettere a repentaglio le caute comunicazioni degli esperti. Al tempo stesso, però, l’economia digitale ha conquistato posizioni nel mercato durante il blocco, in qualche caso amplificando la crisi economica post virus.

Come la storia ci insegna, le strutture socio-politiche sono fatti umani e possono essere reingegnerizzate per meglio affrontare le nuove sfide. Covid-19 produrrà conseguenze, come ogni crisi, che potranno condurre in differenti direzioni a seconda delle nostre risposte collettive. Vi è già un rischio connesso alle debolezze manifestate dall’ordine liberale. Risposte efficaci oggi non dovrebbero correre questo rischio. Dopo alcune incertezze decisionali e pecche comunicative sembra che l’UE abbia compreso la posta in gioco e risponda con misure economiche robuste. Ma le risposte sono lente rispetto alla velocità del virus e hanno bisogno di essere accelerate. A livello nazionale, se l’emergenza economica non è affrontata in tempo, sono possibili contraccolpi populisti. E’ fondamentale che le risposte siano tali da compensare possibili ineguaglianze dell’impatto del virus; che le barriere burocratiche non impediscano una implementazione sollecita delle misure adottate; ed è cruciale che l’orgoglio nazionale rinnovato non sia giocato contro altri “esterni” e che le misure emergenziali siano rimosse il prima possibile. A livello internazionale occorre rilanciare il dibattito pubblico sulla governance globale e sulla riforma delle istituzioni internazionali, bisognose di rilegittimazione. E’ anche tempo che la UE si conquisti un ruolo globale e rilanci il piano di una economia globale sostenibile e lavori per rendere il vaccino futuro anti Covid-19 come un bene pubblico accessibile a tutti.

Andrea Mignone

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