MODA ETICA: tra diritti umani e tutela ambientale

per MARIO
Fonte: Campagna Abiti Puliti
Url fonte: https://www.abitipuliti.org/

Perché diffondere un Etica nel settore della moda? E cosa si intende precisamente per Etica della Moda o Moda Etica?

Ecco questi sono gli interrogativi che servono ad introdurre una certa consapevolezza in merito all’industria della moda che ancora oggi, in una società avanzata come la nostra, fatica a diffondersi.

La Moda Etica può essere definita come quell’atteggiamento umano nei confronti della moda che spinge una persona a chiedersi dove e da chi è stata prodotta la maglia o il paio di scarpe che indossa e quali materiali sono stati utilizzati per produrre quel determinato capo di abbigliamento. Una Moda Etica, necessariamente collegata al concetto di ecosostenibilità, è anche una politica industriale trasparente che offre la possibilità al consumatore di sapere se quel capo di abbigliamento è stato prodotto con tessuto naturale, in quale percentuale è biodegradabile, zona di provenienza e la manodopera impiegata.

Perché diffondere una Moda Etica

La necessità di introdurre un Etica nel settore della moda deriva dal tipo di impatto sociale ed ambientale che le industrie di abbigliamento producono nella nostra società a livello mondiale.

Alcuni episodi accaduti nell’ultimo decennio, come il crollo del Rana Plaza in Bangladesh del 2013 che provocò la morte di migliaia di lavoratori, l’esplosione della fabbrica Multifabs sempre in Bangladesh nel 2017 o l’incendio alla fabbrica tessile Ali Enterprises del 2012 in Pakistan, hanno permesso ad alcune organizzazioni internazionali di tutela dei diritti umani e dell’ambiente di puntare i riflettori su alcuni aspetti fondamentali collegati all’industria della moda. Aspetti importanti come le precarie condizioni di sicurezza dei lavoratori del settore tessile di marchi pregiati oppure il misero salario percepito dal lavoratore impiegato in tale settore.

Come pubblicato da Campagna Abiti Puliti (organizzazione Italiana della Clean Clothes Campaign attiva nella difesa dei diritti dei lavoratori del settore tessile) in uno dei suoi report del 2018/19, in India e in Turchia i lavoratori del settore tessile di marchi pregiati e diffusi in occidente, guadagnano “un terzo della soglia stimata di salario dignitoso”, mentre in Cambogia guadagnano la metà del salario minimo che consente di poter essere definito come dignitoso. Inoltre gli stipendi sono talmente bassi che, per poter far fronte ai bisogni primari, i lavoratori devono svolgere ore di straordinario. Mentre alcune aziende del settore tessile si stabiliscono in paesi in via di sviluppo per abbattere i costi di produzione e della manodopera producendo fatturati da capogiro che possono arrivare a profitti da 2,6 miliardi di dollari, i lavoratori di tali aziende sono sottoposti a condizioni di povertà, scarsa igiene e malnutrizione.

Altro report del 2018 pubblicato della Clean Clothes Campaign è dedicato alla Romania dove la condizione dei lavoratori non è migliore dei paesi del Medio Oriente. In Romania è impiegata la maggiore forza lavoro del settore tessile europeo (quasi mezzo milione di persone lavora nell’industria della moda rumena) esportando capi di abbigliamento pregiati in Italia, il Regno Unito, la Spagna, la Francia, la Germania e il Belgio. Lo stipendio è pari solo al 14% del salario dignitoso e spesso costringendo il personale ad integrare il proprio stipendio con l’agricoltura di sussistenza.

Con l’emergenza sanitaria covid-19, i lavoratori del settore tessile provenienti dai paesi in via di sviluppo sono stati quelli più esposti a rischio povertà. Infatti con la sospensione delle materie prime da parte dei paesi asiatici e con l’annullamento di grosse quantità di ordini,  molte organizzazioni e sindacati hanno esortato le aziende di abbigliamento a garantire ai lavoratori benefit, comprese le retribuzioni arretrate o l’indennità di licenziamento.

Tali condizioni di precariato derivano dal fallimento del sistema di auditing sociale controllato dalle aziende. Rana Plaza, Ali Enterprises e Multifabs erano state certificate come sicure da diverse aziende di auditing riportando poche, se non nessuna, ripercussione negativa per le imprese responsabili di tali accaduti.

In Conclusione è possibile affermare che per cambiare il sistema bisogna partire dall’esigenza di introdurre maggiore trasparenza, responsabilità e coinvolgimento reale dei lavoratori.

C’è da dire però che negli ultimi anni qualche passo in avanti è stato fatto, ma la strada da percorrere è ancora tanta. Per esempio sono state introdotte delle certificazioni internazionali che stabiliscono se un abbigliamento può rientrare tra la moda etica e stabilisce l’ecosostenibilità del tessuto. Tra le varie certificazioni, che è possibile ricercare sulle etichette degli abiti che desideriamo acquistare, è possibile fare riferimento alla Certificazione Global Recycle standar, Certificazione Animal Free Fashion, Certificazione Global Organic Textile standard, Certificazione Organic Content standard.

Babelezon bookstore leggi che ti passa

Articoli correlati

1 commento

Moda Etica: tra diritti umani e tutela ambientale – Mario De Lucia 16 Luglio 2020 - 9:14

[…] continua a leggere […]

Rispondi

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.