Qualiquantità
Certi appelli non mi convincono. La mia posizione sul referendum, vi dirò, è quasi agnostica. Perciò capisco la reticenza che coglie i più seri fra i Costituzionalisti che hanno segnato le battaglie alle nostre spalle.
Quel che scrive Mattia Feltri non fa una piega: è assurdo, come pretendono Bettini e Zingaretti, pur animati da nobili intenti, far derivare il rispetto di norme costituzionali dall’osservanza di una legge ordinaria, come una riforma proporzionalistica del sistema elettorale. Essendo che la seconda (assunta come norma di garanzia) può variare a seconda di qualsivoglia nuova maggioranza.
In sè e per sè anche una legge elettorale proporzionale costituzionalemte certificata non potrebbe escludere a priori il formarsi di una maggioranza anti-costituzionale e sovversiva (inutile ricordare che Hitler andò al potere vigente un sistema proporzionale….).
Ma il ragionamento vale anche a rovescio. Se è vero che una legge elettorale ordinaria non può proteggere la Costituzione, è altrettanto vero che tale protezione non può essere garantita dalla numerosità dei parlamentari.
Lo stravolgimento della Costituzione può darsi con qualsivoglia sistema elettorale cosiccome con qualsiasi numerosità delle Camere. Tutto dipende dai rapporti di forza sociali e politici che interessano società e sistema politico. Cioè dalla tenuta della Costituzione materiale e dal suo rapporto con la Costituzione scritta. Esaurita una forma storica (incarnata dai partiti di massa) la rappresentanza si è destrutturata secondo forme aleatorie e inconsistenti. Le riforme istituzionali di per sè non possono rimettere in forma una realtà snaturata. Le riforme istituzionali sono non per caso diventate il leit motiv nella sinistra (peraltro con indirizzi i più vari e occasionali, fra i quali la riduzione del numero dei parlamentari è stata, fra tutte, la trovata più innocua….) dal momento che essa si è distaccata dal suo radicamento sociale e dai fondamenti ideali. Mettendo la modernizzazione e un mero innovativismo all posto del riformismo.
E’ vero che la riduzione del numero è avvenuta sotto l’egida di moventi meschini (il risparmio sui costi e il taglio della ‘casta’). Ed è anche vero che tali moventi si sono accompagnati a una palese forma di imbecillità (solo una forza con seri limiti approva una riforma che indebolisce e delegittima la sede nella quale detiene la forza). Ma è anche vero che in sè e per sè il parlamento non sarà svilito dalla sua ristretta numerosità più di quanto lo sia già di fatto nel modo di funzionare e nel disprezzo di cui è fatto segno nella mentalità corrente. La bandiera di un grande parlamento non ne aumenta di un ette il prestigio.
Se penso alle varie motivazioni per votare contro la riforma l’unica per me plausibile è che una sua approvazione darebbe forza, inevitabilmente, al partito delle elezioni, mettendo a repentaglio il governo. Sarà infatti più difficile opporsi all’idea che Il parlamento in atto, dal quale il governo trae la sua legittimazione, sia superato.
-.-.-.-.-
ecco l’Appello ai costituzionalisti
di Mattia Feltri
L’intimazione a parlare è altrettanto dispotica dell’intimazione al silenzio, e ognuno dei numerosi “Costituzionalisti del no”, impegnati quattro anni fa nel contrasto alla riforma di Matteo Renzi (molti dei quali impegnati dieci anni prima nel contrasto alla riforma di Silvio Berlusconi) hanno pieno diritto alla riservatezza cui si sono dedicati davanti alla riduzione dei parlamentari votata dall’attuale maggioranza. Non mi piace chi, con una nota di disprezzo, chiede loro conto dell’inatteso disinteresse. E tuttavia, a poco più di un mese dal referendum che confermerà o no il cambio della Costituzione, ci sono alcune domande a cui la politica non dà risposta, cocciutamente, e su cui i “Costituzionalisti del no”, da Gustavo Zagrebelsky in giù, potrebbero dare risposta. Non per amore di polemica ma per amore di chiarezza, così irrinunciabile quando si mette mano alla Carta.
Mi tocca una premessa. Non mi spaventa il taglio dei parlamentari: era previsto sia dal disegno di Berlusconi sia da quello di Renzi (ho votato sì entrambe le volte). Mi spaventano i presupposti: i parlamentari sono troppi, inutili, più probabilmente dannosi, sono denaro buttato, alla lunga traditori della volontà popolare, sono casta pasciuta. Niente altro. Non c’è una riforma sistemica, complessiva, nessuna idea per adeguare ai tempi il funzionamento della macchina legislativa.
Questa era anche la riflessione del Partito democratico quand’era all’opposizione, e in aula tre volte votò no. Poi è passato in maggioranza, ha cambiato riflessione e alla quarta volta ha votato sì. Non sono ironico. Capisco che, senza voltafaccia, il governo non sarebbe mai nato, ma in tanti ci aspettavamo correzioni che rendessero la riforma meno irosa e più armonica.
Ora però è successo qualcosa di mai visto: di solito sono i partiti d’opposizione a gridare alla pericolosità della riforma, scambiandosi abito e vocabolario: fascisti, gridava la sinistra alla destra nel 2006; fascisti, gridava la destra alla sinistra nel 2016. Stavolta – senza arrivare a darsi del fascista da solo – uno dei partiti di maggioranza – il Pd – ha dichiarato pericolosa la Costituzione che uscirà da un’eventuale, e probabilissima, conferma referendaria. Prima lo ha detto il padre spirituale Goffredo Bettini, poi il segretario Nicola Zingaretti, infine l’ex ministro Graziano Delrio.
La Costituzione, hanno spiegato, diventerà pericolosa per la tenuta democratica se non sarà approvata una legge elettorale proporzionale: con una maggioritaria (per esempio il Rosatellum, in vigore), chi vincesse le elezioni, in un Parlamento che passa da 945 a 600 membri, avrebbe una tale superiorità numerica da disporre di una maggioranza qualificata, e potrebbe modificare la Costituzione in autonomia.
A me questa pare un’enormità sulla quale non riesco ad avere delucidazioni dai dirigenti del Pd. E sono delucidazioni dovute agli elettori.
Il Pd ci sta dicendo di avere contribuito ad approvare una riforma che non è pericolosa per la Costituzione se c’è il proporzionale ma lo è se c’è il maggioritario. Dunque, per evitare di mettere in pericolo la Costituzione, chiede il ritorno al proporzionale. Però la legge elettorale è una legge ordinaria: significa che qualunque governo, di destra o di sinistra o ibrido, al prossimo giro potrà cambiarla e la Costituzione sarà di nuovo in pericolo. Cioè noi abbiamo una riforma costituzionale la cui pericolosità dipende dal solo passaggio di una legge ordinaria.
Non solo: siccome mancano i tempi, ed è impossibile approvare la legge proporzionale entro il referendum, il Pd conta almeno in un primo passaggio parlamentare per dimostrare le buone intenzioni. Insomma, è un pagherò. Il Pd chiede di votare una riforma pericolosa, la cui pericolosità sarà annullata da una legge elettorale che non c’è e semmai sarà approvata successivamente.
Non è un po’ troppo?
Non è un po’ troppo dire sì?
Non è un po’ troppo votare una riforma costituzionale, con l’eventualità che nel giro di qualche mese il governo cada e si debba andare a votare col Rosatellum, che per ammissione del Pd metterebbe a rischio la Costituzione e la tenuta della democrazia?
Non è un po’ troppo votare una riforma Costituzionale, anche se dovessero poi approvare il proporzionale, col rischio che una futura maggioranza reintroduca il maggioritario, rimettendo in pericolo la Costituzione e la tenuta della democrazia?
Sono – le mie, e di pochi altri – preoccupazioni eccessive? Questo vorrei chiedere ai costituzionalisti, se intendessero uscire dalla riservatezza e rendere un servizio a tutti.


