Il governo universalistico e la catastrofe generale della politica e dei partiti

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Il governo universalistico e la catastrofe generale della politica e dei partiti
Non chiamatelo “governo”, non se lo merita. Un tale pateracchio non l’avevo davvero mai visto, mai una volta si era pervenuti a un tale sconclusionato esito al termine di una crisi politica pur grave. Forse Mattarella ha pensato che questo ci meritavamo e non altro, e forse ha pensato bene. Perché mai una volta la crisi politica era proseguita acerrima, pur insediato un nuovo esecutivo. Anzi il governo Draghi appare una specie di epifenomeno della crisi, il suo punto di massima evidenza, la sua acme. Ho proposto di chiamarlo “comitato”, non governo, perché questa compagine non è una compagine, e perché il Consiglio dei MInistri non sembra affatto in grado di determinare la politica generale del Governo e l’indirizzo generale dell’azione amministrativa, come invece suggerisce la legge. Tanti interessi particolari ammucchiati non fanno un interesse generale, tanto meno un bene comune. Sarà una lotta sorda tra chi vorrà accappararsi il recovery, mentre pochi volenterosi al suo interno continueranno a occuparsi delle cosiddette “emergenze politiche” (sanità, lavoro, sud). E si dirà che se gli obiettivi “tecnici” (sòrdi, sghei, danè, serve un disegnino?) non venissero raggiunti sarà solo colpa delle “liti tra i partiti”, della cui esistenza comincio ormai a dubitare. Quindi quali liti? E tra chi? Quali partiti? Mah.
Mai vista una tale “catastrofe”, lo giuro. E non intendo il casino prodotto da una crisi di governo per quanto inutile, dannosa, grottesca. Ma da quel che è venuto dopo, dall’orgia tecnico-mediatica che è seguita alla stoltezza di Renzi e di chi lo ha attizzato. È tale la slabbratura politica, il caos di forme e confini, che nemmeno si potrebbe dire che i partiti della vecchia maggioranza Conte siano “entrati” al governo, quanto prendere atto che il governo è esploso e ha assunto la forma di un comitato quasi universalistico, che si è dilatato ed esteso all’intero globo politico-istituzionale, coinvolgendo tutti, anche quelli che sono, diciamo così, o si pensano, all’opposizione. È come se fosse nato un villaggio globale politico, con tutti dentro anche a loro insaputa, e con i confini del governo sovrapposti a quelli del Parlamento e, quindi, della società. Lo so che stare all’interno di questa in-formità non aiuta a vederne l’effettiva conformazione, tal che si immagina che tutto sia come prima, con dei confini, un governo, un’opposizione, una società. Ma la verità è un’altra, ben oltre la facile apparenza, ed è che il comitato si è preso tutto, ha fatto banco, ha davvero gettato il lazo, circoscritto e ghermito tutti, e ora viviamo una situazione distopica, da cui non sarà facile uscire. Per primi, per ragioni logiche, palesi, quelli che pensano di esserne fuori.
Ecco la vera novità, mai sperimentata. Il tutto-politico, il tutto-istituzionale, fuori di ogni scansione, fuori di ogni confine interno. Così, mentre l’ottimo Speranza si batte contro la pandemia, gli altri gli fanno opposizione. Mentre i tecnici sono piegati sui loro tabulati, i politici si curano delle cosiddette “emergenze” (tipo la morte del povero Attanasio). Mentre la Lega è al governo, i suoi giornali tirano sassate contro il governo stesso. Una specie di foglio-mondo politico dove tutto è ognuno, e ognuno è tutto. Ovviamente, se siamo coinvolti in questa cosa (e come sfuggirne?) meglio darsi da fare e menare le mani, facendo politica invece che rivendicare autonomia e discostarsene (standone sempre dentro di fatto, eh?). Per i partiti è la stessa cosa, con questo avviso: sono impantanati nel foglio-mondo politico, ma si sgretolano all’interno. Non è nemmeno un paradosso, ma una conseguenza logica della crisi, che “ammucchia” per dividere. Quasi banale, no?
Ma la catastrofe non è solo distruzione. È anche l’occasione di un ribaltamento, di una rinascita, vorrei dire. La sinistra ne uscirà solo unita, solo “rinata”, solo se sarà capace di prendere il toro per le corna e balzare avanti. Un nuovo grande partito, democratico, plurale, largo, la “casa” della sinistra, appunto. Rinnovamento della classe dirigente, combattività, lotta, coraggio, resistenza, non piagnistei. Idee, valori, una prassi che unifichi e indichi la strada giusta. Agire piuttosto che sedimentarsi. E così il Movimento. Faccia il balzo in avanti. Getti il cuore oltre l’ostacolo. Prima o poi sarebbe senz’altro venuto il momento del confronto e delle alleanze, e il governo Conte ne è stato peraltro un ottimo assaggio. Cosa credevano i 5stelle, che bastassero la piazza o i meet up? Magara. Alla sinistra che si frammenta, infine, dico che mo’ basta. Non vogliamo più liste o listarelle occasionali, con lo stesso ceto politico in fila come se non ci fosse un domani, ma un enzima politico e culturale che unifichi indicando una prospettiva di cambiamento a vantaggio degli ultimi e penultimi. La “casa” che dicevo deve essere di tutti. Poco importa che la società sembri dire l’opposto. La sinistra nasce per cambiare lo stato di cose non per constatarne la presunta intangibilità o per dichiarare forfait, rifugiandosi nei libri, nella teoria oppure nei piaceri (sempre di meno, peraltro). A questo prezzo anche la teoria si riduce a essere solo godimento. Se si cambia, allora si può cambiare, sennò no. Si parte sempre da se stessi, anche se si tende sempre a dire peste e corna degli altri.
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