Autore originale del testo: Fausto Anderlini
Se sedici anni vi sembran tanti
Diciamoci la verità. Questa estensione della cittadinanza elettorale ai sedicenni, oltre che decisamente sfasata rispetto all’agenda dei problemi, è anche una ciofeca in sè e per sè. Io ho dato il mio primo voto (in alto a sinistra) nelle politiche del 1972. E solamente per la camera dei deputati. Avevo 23 anni suonati, avendo fallito per un pelo l’appuntamento delle elezioni del 68 allo scoccare del limiute canonico dei 21. In quell’epoca l’età minima per accedere al lavoro era di 14 anni, sicchè molti giovani (quelli in condizione non studentesca) arrivavano al voto quando già da sette anni erano impegnati nel lavoro e pagavano tasse, mentre tre anni avanti avevano anche espletato il servizio militare. Nel ventennio precedente (cioe’ nei ’50 e nei ’60) l’età di lavoro era ancora più bassa. I membri di estrazione proletaria andavano a lavorare in età precoce (addirittura nell’infanzia) e in giovane età mettevano su famiglia. L’interregno della giovinezza, e persino dell’adolescenza, dunque dell’infanzia, era breve. Si diventava ‘maturi’ molto presto. Allora sì che avrebbe avuto un senso conferire ai sedicenni la cittadinanza politica. Nei fatti si trattò di un furto sulla vita politica del proletariato giovanile. Si vorrebbe dunque correre ai ripari oggi che la condizione di fatto è quella, denunciata da tutta la sociologia, tutt’affatto opposta di un abnorme prolungamento dell’età giovanile: posposizione del lavoro, differimento del matrimonio e della fecondità, sino all’aberrazione dell’adultescenza (divenuta una vera e propria piaga sociale). Mentre si allunga a dismisura il periodo formativo propedeutico all’ingresso a pieno titolo nella maturità sociale, con la conseguenza di una condizione di dipendenza che può inclinare a una fanciullesca irresponsabilità, si vorrebbe accorciare a una misura minima l’apprendistato alla politica. Un paradosso che può trovare una razionalizzazione in un solo argomento sostanziale: la futilità e la minorile irrilevanza della politica.


