Fa impressione vedere Giovanni Brusca, detto “O scannacristiani”, uscire a 64 anni, dopo 25 anni di carcere, nonostante 150 omicidi, la strage di Capaci e un bambino sciolto nell’acido

per mafalda conti
Autore originale del testo: Gianni Cuperlo
Oggi il tema è tra i più delicati e io non sono un giurista. Però credo sia un dovere di ciascuno (per chi agisce nella politica quasi un obbligo) non sottrarsi al giudizio, fosse pure problematico, su questioni che interrogano il nostro grado di civiltà, offrendo di quest’ultimo termine l’accezione più larga.
Prendiamo un pluri assassino, un uomo che si è macchiato di delitti feroci compresa l’eliminazione di un ragazzino colpevole di null’altro che del proprio cognome.
Il pluri assassino è stato arrestato nel 1996, quattro anni dopo le stragi di Capaci e Via D’Amelio. Dal 2000 gli viene riconosciuta la qualifica di collaboratore di giustizia. Grazie alle sue rivelazioni vengono arrestati e condannati esponenti di punta di Cosa Nostra.
Il pluri omicida trascorre in carcere venticinque anni, sino a due giorni fa quando usufruendo della commutazione della pena dall’ergastolo a trent’anni e dei benefici previsti dalla legge esce dal carcere e viene sottoposto a un periodo di quattro anni di libertà vigilata.
A commento della notizia si levano molte voci di protesta, sconcerto, indignazione, per il fatto in sé.
In punta di piedi, penso questo.
I parenti di quelle vittime hanno il diritto-dovere di esprimere il loro dolore che si rinnova e lo sdegno per una notizia che, umanamente e non solo, li ferisce.
Ogni cittadino ha il diritto di manifestare la sua opinione, siamo in una democrazia, e tra due righe lo farò anch’io.
Penso, invece, che chi occupa o ha occupato in passato o punta a occupare in futuro posti e ruoli di rappresentanza o di potere nelle istituzioni, dinanzi a una notizia simile deve riflettere due volte e riconoscere che la scarcerazione del pluri assassino per avere scontato la pena è frutto di una legge dello Stato ispirata e voluta da quegli stessi giudici impegnati sul fronte della lotta alla mafia.
Deve altresì pensare che quella legge ha consentito di salvare vite in pericolo sgominando una rete di omertà e collusioni altrimenti difficile da penetrare.
Nulla e nessuno può mutare il giudizio umano e morale su quel pluri assassino, ma se rispetti la legge e la Costituzione (e la politica, di qualunque colore, questo dovrebbe sempre farlo) allora esiste una responsabilità del dire oltre che del pensare.
Nella nostra Carta sono scolpiti principi che valgono finché una maggioranza adeguata non abbia volontà e forza per modificarli, dall’obbligatorietà dell’azione penale a carriere uniche per giudici e pubblici ministeri, il tutto nella cornice dettata all’articolo 27 che recita così: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”, che essendo noi la patria di Beccaria pare una formulazione coerente coi trascorsi più elevati della nostra cultura giuridica.
Oggi solo questo, anche se credo sia molto.
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