La zona grigia

per mafalda conti
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
La zona grigia
I dati delle vaccinazioni possono essere utilizzati anche antropologicamente, con tutte le accortezze possibili. Dalle tabelle che oggi il ‘Corriere della Sera’ mostra ai suoi lettori, scopriamo, per dire, che c’è in Italia una specie di “zona grigia”, ossia quella anagraficamente centrale che va dai 30 ai 50 anni: è la fascia d’età che risponde peggio alle sollecitazioni espresse dalle autorità sanitarie e politiche a vaccinarsi. Meglio, molto meglio la fascia 20-29 anni, che a partire dall’1 luglio (data di introduzione del primo obbligo di green pass) è anche quella che si è sottoposta con più sollecitudine alla prassi vaccinale anti Covid. Pensate: il settore anagraficamente più attivo, è invece quello meno attivo, anzi meno reattivo, se si tratta di vaccinazioni.
La zona grigia è quella in cui l’impulso vitale, il senso del futuro cominciano un po’ a scemare, e l’attenzione è tutta per un presente dilatatissimo, che tende a occupare ogni anfratto vitale. Diverso è il caso dei più giovani, che invece per il futuro (nonostante le molte incertezze di questi decenni) hanno un interesse pressante, e dunque interpretano le vaccinazioni come una sorta di prospetto, un viatico a impegnarsi più liberamente nella costruzione della propria esistenza. Gli anziani, a loro volta, percepiscono moltissimo il “rischio” consustanziale alla vita, intuiscono di questa gli esiti estremi, le debolezze, sentono i timori per la propria salute, e quindi sono spinti alla vaccinazione da questa “cura” di sé che si impone anche per ragioni anagrafiche. I 30-50enni no, per loro quell’impulso a costruire il futuro è quasi scomparso, mentre il senso e la consapevolezza della morte sono ancora distanti, ancora non percepiti nel loro valore reale e profondo. È un’età di galleggiamento, per la quale il vaccino è più un rischio che un’opportunità, perché non si ha una prospettiva su cui misurarsi, né una “fine” ultima da cui preservarsi: il presente è tutto, offusca passato e futuro e stabilizza la percezione del tempo. L’affanno per il futuro e, per altro verso, la malattia e la morte sono roba altrui. Condizioni irreali, impercettibili.
La zona grigia è un’età del disincanto, del disimpegno esistenziale, della sofferenza o del godimento entrambi immediati, e basta. Il vaccino, lì, ha poco appeal. Prevale più la preservazione dal rischio dei suoi effetti collaterali, perché si tratta di un rischio tutto individuale, tutto presente, che vive con me e non annuncia futuro (il cui sentimento tende a spegnersi) tanto meno un senso della fine, della malattia, della cura, del bisogno di sottoporre il proprio corpo a profilassi o terapie. Anzi: a 30, 40 anni il corpo funziona bene, e l’impressione è quella che possa durare così in eterno, e che sia degli altri il problema di pensare a una cura o peggio. Il vaccino non li riguarda, non riguarda chi pensa la vita senza pensarne assieme il “consumo”, una “scadenza”, un esito irreversibile. La zona grigia soffoca chi la frequenta in un presente di godimento personale e biologico che non ammette slanci. Essa è orba del futuro dei più giovani, o del senso della fine e del limite dei più anziani. Parlo di milioni di persone sorde a ogni richiamo e stradecise nelle proprie convinzioni. Ce ne vorrà a convincerle, sinché magari non ci penserà il Covid stesso, a cui di antropologia e sociologia poco importa. Tutti i corpi, per un virus, sono all’incirca gli stessi. Poveri e ricchi, giovani e vecchi. Non c’è mica da scherzare.
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