Autore originale del testo: Andrea Pertici
Se #Draghi fosse eletto al #Quirinale, mi pare evidente che all’inizio avrebbe un peso maggiore anche sulle scelte dell’Esecutivo, soprattutto se la legislatura proseguisse. Lo avevo già scritto qualche mese fa. Non si tratterebbe, però, che di una delle possibili aperture della “fisarmonica del potere” del Presidente. Il quale Presidente, naturalmente, dovrebbe comunque rispettare i limiti posti al suo potere, estraneo alla determinazione dell’indirizzo politico (o se vogliamo, dell’indirizzo politico governativo).
Peraltro, Draghi, per il quale non amo fare i coretti di giubilo tipo groupies, e che ritengo faccia molte cose bene e altre meno e che mi piace apprezzare e criticare come si deve fare con chiunque faccia politica (come un Presidente del Consiglio per definizione fa), è certamente una persona delle istituzioni, che alle stesse porta rispetto e quindi non ci sarebbe di che temere.
Deve poi considerarsi che, in ogni caso, al massimo nel maggio 2023, si voterà. E, dopo quelle elezioni, la posizione di Draghi al Quirinale cambierebbe comunque, trovandosi di fronte un diverso Parlamento, con un diverso assetto politico, e un Governo più distante da quello da lui presieduto.
Più che le frasi pasticciate come quelle di Giorgetti a cui viene data anche troppa importanza (anche nell’ottica di attrarlo nell’area meno votabile – e soprattutto meno votata – della storia che sarebbe quella Giorgetti-Renzi-Calenda-Marcucci), mi preoccuperei di quelle di chi dice che Draghj deve rimanere a Palazzo Chigi per 7-8 anni, perché mi dà l’impressione che si vorrebbe prescindere dalle elezioni e dal loro risultato.
Ma soprattutto mi preoccuperei anche di chi paventa un “semi-presidenzialismo di fatto” per rimediarvi con un “semi-presidenzialismo di diritto” e quindi con l’ennesima riforma costituzionale, volta ad introdurre la forma di governo che più marginalizza il Parlamento.


