Mancano due mesi alle elezioni del Presidente della Repubblica e mai come questa volta c’è stato un simile fermento di autocandidature, posizionamenti, stroncature e pettegolezzi. Lo stesso Sergio Mattarella ha dovuto ribadire più volte la contrarietà alla sua rielezione, che tranquillizzerebbe la stragrande maggioranza di parlamentari spaventati dal rischio di andare alle elezioni, in cui perderebbero la propria sedia. E’ bene premettere che, rispetto alle elezioni precedenti, questa volta la situazione è molto più incerta, perché non esiste una maggioranza politica in Parlamento e gli stessi leader dei partiti, a partire da Enrico Letta e Giuseppe Conte, non hanno il controllo dei gruppi parlamentari. E’ bene ricordare però, che al tempo della rielezione di Giorgio Napolitano, il Partito Democratico, che aveva un’ampia maggioranza relativa in Parlamento, ha silurato nel voto segreto prima Franco Marini e poi Romano Prodi. Dal mio angolo di visuale, che è assolutamente marginale rispetto ai centri di potere, faccio un pronostico di quello che accadrà.
Il favorito è sicuramente Mario Draghi, per il quale ho sempre nutrito stima, che però è stata delusa in questi ultimi mesi. Draghi ha trafficato per andare a fare il Presidente del Consiglio e sono testimoni di questo fatto la cena con Massimo D’Alema e il giornale locale dell’Umbria, che a gennaio di quest’anno aveva pubblicato un articolo in cui raccontava del via vai di automobili che si recavano al suo cospetto a Città della Pieve. Draghi quindi non è stato tanto il salvatore della patria, quanto uno dei protagonisti di una vicenda piuttosto torbida, atta a defenestrare il Governo Conte e a dare un colpo definitivo ai grillini, già confusi dopo i primi anni di esperienza parlamentare. Il pugnale è stato quello di Matteo Renzi, ma i mandanti sono da ricercarsi nei poteri italiani, che non sopportavano l’idea che fosse il Governo Conte a gestire i fondi del Recovery Fund.
La domanda che viene spontanea: Mario Draghi ha l’ambizione di salire al Quirinale? Io direi di sì per una semplice ragione:
I giornali italiani sono critici con Draghi come i giornali coreani lo sono con Kim Joung-un, lo trattano come il ”salvatore della patria”, colui che ha rilanciato l’economia italiana e che sta facendo le grandi riforme, ma la realtà è ben diversa e lui la conosce benissimo. Con questo Parlamento non ci sarà nessuna grande riforma non quella della pubblica amministrazione, e neanche quella sulle tasse, o le pensioni. Le riforme non le fa un uomo solo al comando ma uno spirito riformatore dei partiti, che non esiste in Italia dal secondo dopoguerra. E così non ci sarà nessun boom economico, con uno Stato ridotto a colabrodo, con industriali che vivono con i contributi statali e che sperano solo di accaparrarsi il Recovery Fund, con bassi salari, lavoro precario e disoccupazione. Per qualche mese si possono raccontare agli italiani delle palle di aria fritta, ma se Draghi restasse al governo tre anni raccoglierebbe lo stesso consenso di Mario Monti, che era stato incoronato dagli stessi autori di questo governo e che addirittura aveva dei ministri più competenti di quelli mediocri e ”vecchi” di Draghi. Essendo consapevole della triste situazione Mario Draghi ambisce o a fare il Presidente della Repubblica oppure a fare il capo della Banca Mondiale, lavoro a lui più idoneo rispetto all’uomo di Stato. La percentuale di probabilità che Draghi salga sul colle più alto è del 68%. I grandi elettori lo voterebbero, ma l’ostacolo può essere rappresentato dai vari leader Berlusconi, Letta, Salvini, che per interessi diversi ma con l’obiettivo comune di contenere i poteri di supermario e di cercare di tornare ad assumere un ruolo di attori protagonisti sullo scenario politico, potrebbero cercare di ostacolarlo.
Dopo Draghi il candidato maggiormente favorito è Giuliano Amato, ottantatre anni e anche colui per il quale faccio il tifo, perché è stato chiamato due volte al governo in momenti difficili e ha dimostrato nervi saldi e commesso meno errori di altri. Cinico, ma in gioventù aveva ideali socialisti e non si è mai convertito alla dittatura del liberalismo economico, che ha prevalso in questi trent’anni. Giuliano Amato potrebbe contare sull’appoggio convinto di Berlusconi, su gran parte del Partito Democratico, dei numerosi parlamentari del gruppo misto e non è escluso che potrebbe essere votato anche da parlamentari della lega e 5 stelle, in determinate circostanze. Il punto debole di Giuliano Amato è che non è amato dagli italiani, che non hanno dimenticato il prelievo forzoso del 6×1000 sui conti correnti, avvenuto in una notte di mezza estate del 1992, e non ha il phisique du role di Napolitano (pare un topolino). La percentuale di Giuliano Amato è del 17%.
Un altro candidato che ha qualche possibilità è Gianni Letta, ottantasei anni, giornalista in gioventù, legato a Giulio Andreotti, grand commis di stato, sottosegretario nel Governo Berlusconi. Il suo punto debole è che non ha mai agito in prima persona ed è il rappresentante del potere che si annida nelle ”stanze romane”. Potrebbe essere appoggiato dalla destra, dal gruppo misto, da quei grillini che non vedono il loro futuro nel centro sinistra e anche da una parte del Partito Democratico. La percentuale di Gianni Letta è del 2%.
Se questi candidati non passassero, avrebbe le sue chances Marta Cartabia (58 anni). Si tratterebbe della prima donna a salire sul colle più alto e potrebbe mettere tutti d’accordo ed i partiti potrebbero raccogliere gli applausi del Paese. La percentuale di Marta Cartabia è del 13%.
Gli altri candidati nell’ombra a mio modesto parere non hanno possibilità, che siano Silvio Berlusconi, la Casellati, Casini o Veltroni e tutti gli altri velleitari candidati del Partito Democratico.



1 commento
E Bersani no?