Il paradosso di un Presidente on demand

per Alessandro Rossi
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Il paradosso di un Presidente on demand
Hanno in mente di far cadere Draghi (ossia di farlo dimettere) per preparare la sua successione con un consulente di fiducia e, conseguentemente, porre la candidatura dell’attuale premier al Colle più alto. Ciò garantirebbe la continuità dell’azione di governo e, nello stesso tempo, alzerebbe una sponda (e che sponda!) di tipo semipresidenziale al Quirinale. Geniale, non c’è che dire. Con il piccolo particolare che la democrazia non è la messa a punto di un organigramma aziendale, ma una questione di scelte che i cittadini, per primi, debbono compiere, dando il “la” all’intero processo decisionale. Trasformare le figure istituzionali in tante pedine della dama da spostare qui e là, mi pare persino andar oltre lo stato d’eccezione che, pure, già adesso congela i processi politici in nome di una sorta di vademecum tecnico.
Ed eccolo il paradosso. Quelli che sostengono Draghi (il mondo delle imprese, gli editorialisti, Lor Signori in genere) si affannano per le sue dimissioni, così da aprire una nuova fase ancor più favorevole alle loro sorti economiche – gli altri, quelli meno convinti, quelli che lo stato d’eccezione lo soffrono davvero, quelli che vedono in Draghi una non-scelta, un fatto compiuto, una specie di strana fatalità, si trovano invece a sostenerlo in Parlamento. La variabile Quirinale ha come rovesciato le carte e mostrato come l’eventuale caduta di Draghi corrisponderebbe a pieno, in realtà, alla realizzazione dei giochini tattici dei draghisti. Che prevedono la successiva elezione dell’attuale premier al Quirinale, appunto, dopo aver sistemato a Palazzo Chigi un suo clone, che l’ex BCE teleguiderebbe dal Colle presidenziale.
Le cose non accadono casualmente. Si sosterrebbe, per motivare il passaggio di Draghi al Quirinale, che egli ha ormai compiuto il suo mandato (sbloccare e indirizzare i fondi). C’è la consapevolezza, credo, che da qui in poi sarebbero per lui soprattutto grane. La scadenza del Quirinale arriverebbe, dunque, a fagiolo. È uno schema che prevede una presa totale del potere per sistemare in via definitiva e senza opposizione la questione PNRR e riforme. In questo modo, tuttavia, il settennato presidenziale nascerebbe sulla contingenza, in modo strumentale alle necessità di un settore circoscritto della società, quello più bramosamente appassionato al tema delle piovose risorse pubbliche messe a disposizione dalla UE.
Il nuovo Presidente, così, nascerebbe pret a porter, concentrato (anzi conficcato!) sulla fase in corso, piuttosto che sulle esigenze della Repubblica e della nostra democrazia in un arco settennale di tempo, quello costituzionale. Un Presidente “politico”, un Presidente a domanda, un tecnico prestato alla soluzione del tema PNRR e, perciò, di parte – la parte che oggi brama i miliardi europei. Dopo di che perderebbe in un certo senso funzione, e vivrebbe i successivi anni come fuori contesto. Io spero che, oltre questi squallidi giochi, il nuovo Capo dello Stato sia il frutto di scelte opposte. Più attente ai bisogni della nostra democrazia e alla necessità di garantire saggezza politica piuttosto che sapienza tecnica on demand – in quanto tale destinata a impoverire non ad arricchire la cultura politica del nostro Paese – a dividere e non a garantire lo sforzo di mediazione e di regolazione del conflitti che le istituzioni devono saper svolgere quotidianamente.
Babelezon bookstore leggi che ti passa

Articoli correlati

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.