Ribaltare il guanto della cattiva politica. È prioritario.

per mafalda conti
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Ribaltare il guanto della cattiva politica. È prioritario.
Se mi chiedessero chi sono i draghisti, risponderei che sono quelli che sostengono Draghi, ricorrendo nella circostanza a un’abnorme retorica timocratica. Ma che, nello stesso tempo, vorrebbero si dimettesse per dirottarlo al Quirinale oppure, peggio, votano contro il suo esecutivo, come hanno fatto i renziani e la destra, mettendolo in minoranza. Sostenere Draghi ma votargli contro sarebbe un paradosso in altri tempi, in tempi di normalità. Ma qui siamo all’eccezione, e allora anche il paradosso perde di senso. La verità è più semplice: i draghisti sono uomini di potere allo sbando morale, senza più una bussola etica, del tutto al soldo del mercato politico, pronti a veleggiare verso qualunque lobby si proponga con argomenti convincenti. Lo stesso Draghi, che magari pensa di essere al sicuro dalla tempesta e di governarla senza nemmeno apparire troppo, in realtà non ha capito che la burrasca potrebbe essere tale da mettere a repentaglio la sua posizione.
Che cosa avvelena il dibattito politico (a chiamarlo così, ma dovremmo dire il caos)? Io dico l’elezione del Presidente della Repubblica. Possibile? Non è mica la prima volta che accade. Si è sempre trattato di una contesa democratica positiva, che ha determinato l’ascesa al Colle di molte personalità encomiabili. Dunque? Perché stavolta è una macelleria? Per due ragioni: 1) ci sono tanti, troppi soldi pubblici in ballo; 2) siamo davanti a una possibile svolta intesa a neutralizzare definitivamente la politica, appena annunciata dall’ascesa di Draghi. Di qui le manovre, di qui l’arena politica trasformata in un macello senza più punti cardinali né senso di appartenenza se non al branco. Una situazione dentro la quale i clan si muovono con abilità indiscussa, proprio perché privi non solo di scrupoli, ma anche di un’etica pubblica.
La crisi è di sistema, purtroppo. Questi comportamenti al limite della delinquenza politica sono frutto di un sistema, appunto, che da trent’anni almeno ha rimodellato la nostra condotta politica, catapultandoci fuori da partiti che organizzavano la partecipazione sulla base di una identità e di un prospettiva di alleanze, per gettarci in una palude di contenitori e di schieramenti entro cui ogni morale e forse ogni rispetto personale e di gruppo sono irrimediabilmente caduti. La vita pubblica corre dietro all’ambizione dei singoli, i Capi si sentono liberi di fare e disfare pur di assumere potere personale, i loro sodali sono più spietati del leader, il potere stesso si è denudato di ogni “apparenza” etica, e vige il risentimento e la caccia all’uomo politico (la rottamazione). La buona politica c’è, quella che vuole il bene pubblico, che avanza con un’etica nel proprio fardello. La buona politica non è morta, anzi. Ma le regole del sistema la disarmano e la delinquenza politica è egemone.
Che fare? La classica domanda politica, che ritorna nei momenti cruciali. Cambiamo le regole, dico io, ribaltiamo il carro, rivoltiamo il guanto etico. La politica non è solo contenuti, ma forma. Non è solo sinistra e destra, amico e nemico, ma istituzioni democratiche. Sennò sarebbe solo lotta cruenta e spirito di vendetta senza regole. Com’è oggi la cattiva politica, com’è il lato oscuro della politica stessa. Serve un vero ottimismo della volontà, allora, che non vuol dire ingenuità a buon mercato, ma fiducia nella volontà stessa, nella condotta umana, nella prassi e nella partecipazione di donne e uomini democratici uniti in una comunità. D’altronde, se alla politica togli proprio la volontà, togli la partecipazione, metti un croce sul senso di comunità, cosa ne resta? Utilitarismo e tecnica. Solo questo. Non ne siete stufi?
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