Fonte: Limes
REGNO UNITO, MA ANTISPORTIVO
L’esclusione dei tennisti di Russia e Bielorussia da Wimbledon e dagli altri tornei estivi del Regno Unito è una decisione politica che rischia di creare un precedente molto pericoloso. Anche le sanzioni contro la Russia imposte dalle varie istituzioni sportive internazionali tra fine febbraio e inizio marzo erano delle scelte politiche, tuttavia erano state presentate all’interno di una cornice giuridica che si appoggiava al fatto che Mosca e Minsk, dopo averla firmata, non avessero rispettato la tregua olimpica.
In questo caso invece si va a violare proprio la posizione degli enti internazionali preposti (Atp e Wta) che consentivano ai tennisti russi e bielorussi di competere come neutrali senza bandiera. Peraltro, come ammesso candidamente nel comunicato, gli organizzatori di Wimbledon e l’ente regolatore britannico Lta si sono allineati alle richieste del governo di Boris Johnson, che per ragioni di politica interna non è disposto ad accettare che l’evento simbolo dell’estate sportiva del Regno potesse ospitare gli atleti di un paese contro cui Londra sta combattendo una guerra per procura.
Negli stessi giorni in cui la diplomazia sportiva italiana, seguendo canali più tradizionali, registrava un grande successo firmando un accordo con il comitato olimpico e il ministero dello Sport ucraino per permettere a 200 atleti di 20 discipline diverse di continuare ad allenarsi, il governo britannico ha adottato un approccio più conflittuale. È stato violato il principio cardine dell’ideologia delle istituzioni sportive internazionali, secondo cui a livello formale e retorico la politica deve stare fuori dallo sport. La condanna dell’Atp e della Wta alla decisione britannica e le probabili sanzioni in arrivo contro Londra non devono essere lette come una posizione filorussa, bensì come il tentativo di difendere i propri spazi di autonomia dall’ingerenza dei governi.


