Autore originale del testo: Alfredo Morganti
La gabbia
Beati i tempi in cui uscire dal governo non significava e non veniva interpretato come un sabotaggio al sistema. Al punto da scatenare un fuoco di dichiarazioni ultimative. Perché poi ci si metteva al tavolo, si discuteva, si riformulavano alcune priorità, se ne individuavano altre, si calibrava l’agenda di governo. Certo, tutto appariva come una specie di balletto. Alighiero Noschese ne trasse una parodia, quella in cui i ministri si alzavano dalle sedie e giravano in tondo, per occupare poi altre sedie. Il rimpasto. Il governo bis o ter. Fantasiosi ossimori come le convergenze parallele, gli equilibri più avanzati. I governi cambiavano, ma la sostanza restava più o meno la stessa, il “sistema” politico non andava in crisi, né si andava forzosamente a elezioni anticipate.
In una Repubblica parlamentare il governo è un riflesso dell’Aula, la politica dibatte, attiva i cittadini, costruisce alleanze, le maggioranze esprimono equilibri ogni volta calibrati sulle urgenze o sulle novità del momento oppure sui rapporti di forza interni ai partiti di maggioranza. Voglio dire: i governi non erano gabbie, cerchi sacri, box senza uscita, ma strumenti, solo strumenti. Perché era la politica democratica, parlamentare, dei partiti a indicare l’agenda, a imporre un ordine del giorno al dibattito pubblico, era il Parlamento a occupare il centro del sistema. E noi, il popolo, i cittadini, eravamo tutti più liberi. Ed esprimevamo questa libertà nei partiti.
Oggi, in tempi ingloriosi di Seconda Repubblica, per di più in tempi di tecnocrati al governo e di governi assembleari, dire soltanto: ho un problema, ho un dubbio, vorrei la libertà di giudicare e decidere, significa attentare al sistema, rompere il vincolo sacro, parlare di politica laddove si è deciso che la politica è solo spreco, e dunque va nascosta sotto il tappeto come la polvere. Oggi il governo, per di più questo governo, è una gabbia. Dorata, magari, perché il guardiano è il migliore dei migliori, ma sempre gabbia. E noi (dico noi che ragioniamo in modo politico, che pensiamo la politica non come un “fare” cose, un “produrre” roba, come un gesto tecnico, come un virtuosismo istituzionale o comunicativo, come questione da “competenti”, con tutte le rigidità aziendali possibili – ma come discussione pubblica, agire partecipativo, deliberazione collettiva, rappresentanza, impegno per il bene pubblico), noi ne siamo i prigionieri.
Si dirà: le regole sono queste. Certo. Ma allora diciamolo: sono state queste regole “all’americana” a cambiare tutto, le regole della Seconda Repubblica, quelle per cui chi vince governa e gli altri zitti, per cui c’è un uomo solo al comando e guai a disturbarlo, per cui la discussione politica è sdoganata ogni cinque anni come dibattito meramente elettorale e poi è di nuovo rimessa in cantina. Siamo nella fase in cui se sei un “birbante” che osa dire: “questo governo non mi convince”, vieni subito buttato in un angolo e dicono di te che sei stato un premier per caso e un politico per sbaglio. Andateci voi a spiegare a 60 milioni di persone che devono starsene sbarrati in casa, altro che esibizione di camice bianche in una gita scolastica al G7.
Oggi c’è un solo coro e si sgomita per farne parte. Non bisogna scandalizzarsi, quindi, se il Parlamento è raffigurato come una scatoletta di tonno, perché questo è – mentre l’esecutivo è divenuto il castello del dominus. È tutto in linea con gli attuali tempi e le attuali regole della politica. Un popolare psicanalista dice che la politica sarebbe evaporata, come se la politica ambisse a evaporare. Ma se per politica si intende quella democratica, della partecipazione, dei partiti, del parlamento, della discussione pubblica, delle deliberazioni collettive, dei partiti e della rappresentanza, beh, questa politica non è evaporata, semmai L’HANNO EVAPORATA, imprimendole a suo tempo una torsione antipolitica da far paura.
Che poi Franceschini declami secondo copione, e secondo le dannate regole che dicevo, ve ne meravigliate? Come avrebbe potuto dire altro? Certo, sarebbe stato meglio tacere. Anche il silenzio in politica ha un senso. Ma anche Franceschini è in gabbia, lo siamo tutti, non esistono più uccel di bosco, se non quelli che nel bosco si sono rifugiati da un po’, e ancora non ne escono. Avete notato, sì, i livelli di astensionismo? Alcuni sindaci sono stati eletti da pochi intimi. Fanno bene a non uscire dal bosco? Fanno male? Io credo che qualcuno che ne era uscito ci sta già ritornando. Nel bosco. Dategli torto, se potete.


