Autore originale del testo: Alfredo Morganti
La politica della paura
Ha ragione Maurizio Zanni, che ha commentato così un mio precedente post: “Votare per la paura ci ha sempre reso tristi, arrabbiati, soli”. È verissimo. Anche la sinistra ha preso da tempo l’andazzo di evocare la paura dell’uomo nero, alla ricerca di un voto purchessia, utile, anche svogliato, e tutto in negativo. Non è ancora cominciata la campagna elettorale che già si raffigurano scenari apocalittici (dittature, costituzioni stravolte, retate notturne) pur di giustificare l’assenza totale di un filo conduttore politico positivo, di un programma sociale, di una prospettiva di cambiamento. La paura come chiavistello per catturare voto terrorizzato e difensivo. Letta già qualche giorno fa parlava di Italia terrorizzata dalla crisi ed evocava lo spettro della Meloni, il Male assoluto. Era già la linea della incipiente campagna elettorale.
Andremo a votare, come ha scritto Maurizio Zanni, come se andassimo all’ultima battaglia contro il Cavaliere Nero, quando invece per cambiare l’Italia servirebbe l’arma della speranza, servirebbero fiducia, serenità, partecipazione consapevole, servirebbe una visione di prospettiva e non calarsi anzitempo il velo del lutto incombente, dei Cavalieri dell’Apocalisse già pronti alla carica, del Male che bussa alla porta. Anche la sinistra, dunque, ha scelto come la destra di terrorizzare il proprio elettorato, anche per evitare un eccesso di riflessione e di dibattito politico. Meglio le pulsioni istintive seppur ingiustificate (avete presente la salviniana “invasione degli immigrati”? Ecco). Con l’effetto di diventare sempre più rabbiosi, sempre più tristi e sempre più soli. Rabbia e solitudine in politica aiutano a prendere qualche seggio, ma poi, come un karma, come un contrappasso, avviano a vivere un futuro peggiore di questo già dannato presente.


