Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Gli asset, il popolo e la guerra
Siamo in guerra. Forse le elezioni non sono il momento migliore per ricordarlo. E difatti l’evento è scomparso dai media, che, non a caso, in gran parte sono asset, i cui proprietari erano seduti a Cernobbio in platea a decidere quale leader fosse da sostenere e premiare con il finanziamento privato alla politica. Siamo in guerra, e ce lo ricordano il prezzo del gas alle stelle, l’inflazione, gli squilibri energetici, le misure con cui intendiamo boicottare l’economia russa ma che, intanto, ci mettono in ginocchio. È una guerra di tipo nuovo, compatibile con le regole globali del mercato capitalistico, che si concentra convenzionalmente in piccoli bacini, con morti, sofferenza, distruzione fisica locali, ma che divampa a livello economico e sociale nel resto del mondo. Dove non abbiamo morti e feriti, ma approfondimento delle diseguaglianze, crisi sociale, crescita della povertà, e affari per gli stessi di sempre. La morte civile, insomma.
In questo clima bellico non valgono le regole dello stato normale, ma vige uno stato d’eccezione, che non prevede grandi margini di dibattito. Nessuno si può opporre anche parzialmente alle sanzioni, nessuno può reclamare una tregua (tregua=capitolazione), nessuno può proferire la parola “pace” (i pacifisti sono anime belle, radical chic, salottieri, puah!), nessuno può esprimere dubbi sull’invio di armi in Ucraina (Conte l’ha fatto ed è diventato un appestato anche per i suoi più prossimi alleati). Il clima non è dei migliori per la politica, se non la si intende soltanto come corsa dei potentati di Cernobbio al comando del Paese, ma come partecipazione di popolo alla democrazia del Parlamento e dei partiti. Siamo nella fase in cui gli asset convocati dal Forum Ambrosetti passano in rassegna i leader e decidono chi deve rappresentare i loro interessi al vertice delle istituzioni. Papale papale.
Il ministo Franco ha spiegato vista lago, senza battere ciglio, che le importazioni nette di energia sono salite dai 43 miliardi del 2021 ai 100 miliardi del 2022: 4 punti di PIL in più, mica bazzecole. È questo l’inverno che ci aspetta, un inverno di guerra, con scorte di gas all’83%, di cui nessuno ci spiega in quale proporzione andranno agli asset oppure al popolo. Tutti a chiedere un tetto equo, un price cap, tutti a confidare nell’Europa, ma senza che nulla accada davvero. Litanie da campagna elettorale. Non so cosa accadrà il 26 settembre. In ogni caso, finita la buriana elettorale e la campagna mediatica, si tornerà tutti nelle proprie stanzette a decidere che fare del budget energetico. E ci sarà chi ci spiegherà che spezzeremo le reni a Putin solo se le famiglie faranno sacrifici, per salvare le imprese e, quindi, i posti di lavoro.
Venerdì scorso, su “Domani”, Feltri si chiedeva perché debbano pagare i cittadini le bollette di aziende che fanno utili, addirittura in misura superiore al normale. Ecco: perché? Perché la guerra la pagano i poveri, mica i ricchi. Come dice la Meloni? Evviva i “patrioti”. Tanto che Letta ci ha fatto subito un tweet, rivendicando per sé la parola. Lakoff è diventato afasico a forza di dire che non si usano le stesse parole dell’avversario! Ma tanto, a che serve? Credere, obbedire, combattere: è questo il moto imperituro. E poi a Cernobbio costa una cifra già il solo coperto: anche 4 euro a persona. Se al Sud ci compriamo una margherita con 4 euro, sul lago di Como ti metti appena seduto al tavolo. Il tavolo degli asset, eh, mica dei poveracci. Eddajesu.


