Ecco come Godard e Truffaut si mandarono al diavolo davanti al mondo

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Emanuela Minucci
Fonte: La Stampa

Ecco come Godard e Truffaut si mandarono al diavolo davanti al mondo

«Ho visto ieri Effetto notte. Probabilmente nessuno ti dirà che sei un bugiardo, così lo faccio io. Non è affatto un insulto fascista, è una critica, ed è senza un punto di vista critico che ci lasciano film come quelli di Chabrol, Ferreri, Verneuil, Delannoy, Renoir, ecc., di cui mi lamento….. Sei un bugiardo, perché la tua inquadratura con Jacqueline Bisset, da Francis, l’altra sera, nel film non ci sarà, e ci si chiede come mai il regista sia l’unico che non scopa in Effetto notte…».

Era il maggio 1973. E Jean-Luc Godard decise che era arrivato – dopo anni di viscerale amicizia  – il momento di cantarle chiare al collega regista François Truffaut. Senza immaginare minimamente che avrebbe ricevuto da questi una risposta dai contenuti ancora più violenti.  Insieme hanno costruito la Nouvelle Vague smontando i canoni tradizionali del far cinema. Il nuovo racconto in pellicola doveva essere girato con la macchina a mano, senza illuminazione artificiale, privato da scenografie aggiuntive. Il tutto per riconquistare il più possibile la realtà, la vita vera, quasi una diretta Facebook. Il problema fu  – secondo Godard – che Truffaut «continuava a cedere attraverso i suoi film a logiche commerciali da main stream» mentre lui, al contrario, «duro e puro», si manteneva lontano da prodotti di largo consumo e anzi fondava il collettivo Dziga Vertov che annullava l’aspetto centrale ( e quindi narcisistico) del regista intesocome fulcro dell’opera. Truffaut la pensava esattamente al contrario: «Esistono solo gli autori, non le opere».
Queste due posizioni, diventate sideralmente lontane all’interno del movimento della Nouvelle Vague, esplosero all’inizio degli Anni Settanta attraverso due missive al veleno che all’epoca fecero il giro del mondo.

Il trailer del capolavoro di Jean-Luc Godard “Fino all’ultimo respiro”

 

Jean Luc Godard decise che Effetto Notte fu la goccia che fece traboccare il vaso. E spedì a Truffaut una lettera al veleno. La risposta di Truffaut non si fece attendere e fu tanto fluviale quanto tagliente:  «Me ne strasbatto di quel che pensi di Effetto Notte, quel che trovo penoso da parte tua è il fatto di andare, ancora oggi, a vedere un film come quello, film di cui conosci in anticipo il contenuto che non corrisponde né alla tua idea del cinema né alla tua idea di vita. Forse Jean-Edern Hallier scriverebbe a Daninos per dirgli che non è d’accordo col suo ultimo libro? Tu hai cambiato la tua vita e la tua testa, eppure continui a perdere un sacco di ore al cinema per stancarti gli occhi. Perché? Per trovare di che alimentare il tuo disprezzo per noi tutti, per rafforzarti nelle tue nuove certezze?». E ancora: «iù tu ami le masse, più io amo Jean-Piere Léaud, Janine Bazin, Patricia Finly (esce dalla cura del sonno, lei, e bisogna fare pressioni sulla Cinémathèque per farle avere i suoi sei mesi di stipendio arretrati), Helen Scott che tu incontri in aeroporto e a cui non rivolgi nemmeno la parola, perché, perché è americana o perché è mia amica? Comportamento di merda».

L’apocalittico e l’integrato a confronto, insomma. E, in mezzo, un abisso incolmabile. Anche le due lettere sono motlo diverse fra loro: breve e fredda quella di Godard, lunga e appassionata quella di Truffaut. E dire che un tempo l’amico  François diceva del regista contro cui si scagliò: «È veloce come Rossellini, malizioso come Sacha Guitry, musicale come Orson Welles, semplice come Marcel Pagnol, tormentato come Nicholas Ray, efficace come Hitchcock, profondo, profondo, profondo come Ingmar Bergman e insolente come nessuno». Insolente come nessuno. Vai a immaginare.

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