Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Il mito politico del fronte largo
Ho come l’impressione, anzi la quasi certezza, che il campo largo sia, allo stato attuale, un mito politico con scarso futuro. Per un motivo semplice, quasi lapalissiano: l’impossibilità di una convivenza tra Calendo-renziani-boniniani e 5stelle. In Lombardia l’accordo PD-5stelle nasce, non a caso, dal rifiuto (molto faticoso) da parte del PD di appoggiare Letizia Moratti, candidata di destra proposta da Calenda. Nel Lazio, anche qui, lo stesso Calenda ha voluto anticipare i giochi indicando un candidato democratico (D’Amato), ma bruciandolo di fatto all’accordo possibile con 5stelle. E che l’alleanza antidestra che tutti auspicano (me compreso) sia altamente problematica lo dimostra il fastto che l’apertura di D’Amato a Donatella Bianchi sia stata immediatamente e a brutto muso rigettata dallo stesso Calenda, che si è dichiarato pronto ad andare per la sua strada nel caso di apertura a Conte. Quale campo largo? Di che parliamo?
Certo, la politica non ri riduce a un gioco di “personalità” (alle “poltrone” direbbe qualcuno), perché sono in gioco contenuti importanti, nonché le stesse rappresentanze sociali. Ma è a questo livello, quello delle candidature, che si esprime con immediatezza il fatto politico. Ed è qui che le contraddizioni assumono una “figura”, anzi un volto. È per questo che toccherebbe al PD prendere un’iniziativa politica (se ne avesse la forza), senza ripetere, tuttavia, sempre e pervicacemente lo stesso errore, quello di virare a destra, di scegliere il centrismo, per poi pretendere che il resto del panorama politico di centrosinistra si adegui e si coaguli attorno a quella alleanza. E guarda caso, laddove si è detto no allo scivolamento a destra (Lombardia) e si è proposto un candidato (Maiorino) si è poi aperto un tavolo di confronto sui contenuti con i 5stelle.
Il PD, purtroppo, la forza di essere il perno politico di un possibile coagulo di forze, non la possiede. E fa sempre lo stesso errore di coprirsi a destra (lo ha fatto Letta con Calenda alle politiche). Un errore da cui non ha imparato un bel nulla, anzi. A forza di predicare la vocazione maggioritaria, quel partito ha perso la capacità di lavorare sulle alleanze, facendolo solo per ragioni contingenti, tattiche, miserrime, mai davvero strategiche. E finendo per cadere sempre nella rete dei furbetti Renzi e Calenda (più Bonino). Se il PD avesse pensato in grande, se avesse saputo parlare alla sinistra nel suo complesso, se avesse costruito un centro-sinistra col trattino, se fosse stato capace di pensare per davvero in termini di alleanze, oggi non si troverebbe tra l’incudine di Calenda e il martello di Conte e, magari, avrebbe saputo erigere un fronte progressista senza i centristi ma con le forze nuove che si muovono nel suo campo: verdi, sinistra, cinquestelle.
Ecco, se a qualcosa dovesse servire la presunta costituente del PD, sarebbe proprio a questo: dimenticare la vocazione maggioritaria e tornare a radicarsi a sinistra, per costruire un fronte progressista, lavorando di pari grado e con la dovuta reciprocità con i possibili alleati. D’altra parte, 5stelle oggi ha pari forza del PD, anzi qualcosina in più nei sondaggi. La reciprocità, dunque, è nelle cose. Non si tratta affatto di apparecchiare il tavolo a modo proprio e poi invitare a pranzo gli altri: il menu andrebbe preparato assieme, nel vicendevole rispetto e nella dovuta, reciproca, considerazione. Niente prendere o lasciare, che è roba arrogante. È così difficile capirlo? È così complicato fare 1+1? Oppure è meglio Bonaccini? Oppure è meglio Calenda che fa e disfa senza che conti davvero nulla sul piano della politica-politica? Oppure potrebbe diventare palese che il PD la politica-politica non ce l’ha affatto nel DNA, piuttosto ha le primarie, ossia l’antipolitica?



