Congresso PD. “Fermi e immobili come un semaforo”

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Congresso PD. “Fermi e immobili come un semaforo” (cit.)
“Gli italiani ormai hanno capito tutti che dal punto di vista economico e finanziario i binari sono quelli: si può scegliere una velocità o un vagone diverso, ma la strada non si cambia”. Questo risponde Massimo Cacciari, amaramente, a una domanda del “Fatto”. È come dire che, se la politica è una discussione pubblica la cui finalità è far partecipare, scegliere, deliberare, questa stessa politica si sta dissolvendo, ha abdicato, visto che è assodato che “la strada non si cambia”. Siamo insomma giunti al punto che tutto appare inamovibile, tutto è oggettivo, tutto è naturale, predomina la stasi, quando fare politica vorrebbe invece dire ispirare il cambiamento, per esigere giustizia e una cura testarda del bene comune.
Del congresso del PD, sempre Cacciari dice che è “un dramma senza contenuto”. Ossia, una rappresentazione vuota dentro, dove, anche qui coerentemente, non si sceglie nulla. Perché non vuol dire “scegliere” ridurre tutto alla partita tra Bonaccini e Schlein. Due che, tra l’altro, erano un ticket già da prima, alla regione Emilia-Romagna. La costituente, invece, sarebbe potuta essere una “scelta”, avrebbe potuto indurre a una “scelta”. Tanto più se si fosse messa in discussione davvero la tavola dei valori e dei principi piddini. Il suo cosiddetto DNA, primarie e vocazione maggioritaria comprese. Ma così non è stato.
C’era da aspettarselo. Vedere un partito politico (almeno nominalmente) restringere il range delle scelte a zero, disciogliendo la politica nel nulla, dovrebbe lasciarsi impressionati (una volta avrebbe fatto di sicuro impressione). Ma siamo così assuefatti, siamo così abituati al non-cambiamento, alla politica di Draghi che diventa quella della Meloni, che nemmeno ce ne rendiamo più conto. E nemmeno ci rendiamo più conto che quella politica era anche quella del PD. Una palude, insomma.
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