Autore originale del testo: Alfredo Morganti
PD. Dalla costituente ad azzuffarsi per un click è un attimo
Il PD non si divide su cose essenziali, ma sulle sciocchezze: il voto online, ad esempio, su cui la Schlein appare irremovibile. Per Letta e Bonaccini, invece, le primarie “analogiche”, quelle dove ci si presenta al gazebo di persona (cioè passanti veri, non passanti digitali), sono una “regola” del PD, dunque immodificabile “in corsa”. Sarebbe bello sapere quale “corsa”, se i sondaggi danno il PD addirittura in regresso, al 14%: una “corsa” all’indietro, direi. Il Comitato Bonaccini ha chiosato: “Le regole del nostro congresso sono state già cambiate per consentire a chi non era del Pd di partecipare. La sola ipotesi che si possa spaccare il partito per cambiarle ancora a congresso già in corso, anziché confrontarsi su come rilanciarlo, sarebbe sciagurata”. A dire il vero, al congresso PD da sempre partecipano i non iscritti, non è che bisognava aspettare la Schlein, poverina, trattata come un’abusiva. E poi: congresso già in corso? Quale? Non vedo congressi. In ogni caso, Letta è per lasciare tutto com’è, con le primarie affidate a passanti ad personam. Squadra perdente non si cambia.
A me spiace per gli amici e compagni che invece puntano sulla costituente, sul congresso, su questo o quel candidato, ritenendo il PD essenziale per le sorti della sinistra e del Paese. Diciamo la verità, troppe risorse, troppe intelligenze, troppa moralità si stanno sprecando in questa mission impossible di rigenerare un partito decotto, che non piace più agli italiani. E che oggi, allo stato dei fatti, sta scivolando giù nei consensi, perdendo sempre più appeal, oltreché valore politico. Tanto che sarebbe anche il caso di abbassare la boria: non è che uno possa ritenersi il pivot del gioco politico, con un’altezza nelle percentuali di sondaggio che diminuisce giorno per giorno. Se si è terza forza ci si deve acconciare al ruolo e smetterla di dire agli altri quel che devono fare, con tanto di aut aut. Per dire: non è che puoi imporre un candidato ai 5stelle, che oggi ti sopravanzano. Anche meno.
Il fatto è che dieci anni di governo, in esecutivi ognuno differente dall’altro, con Presidenti del Consiglio addirittura alternativi tra loro, con alleanze variegate anche in compagnia della destra, sostenendo programmi ogni volta diversi e posizioni rapsodiche (penso al RDC), ti fanno perdere credibilità. Danno l’idea della compulsività. Del puro apparire. Non è la presenza al governo che fa male in sé, quanto il situazionismo, lo starci casualmente, quasi solo per starci e per placare la fame del proprio ceto politico. Il fatto cioè che quella presenza sia di default. Sembra che se non si sta comunque al governo si è fallito. E allora si agogna il dicastero come un Calenda qualsiasi. A un certo punto uno smette di fidarsi, no? E non ti crede se dici che sei contro il Jobs act (che hai promosso) o intendi superare la terza via blairiana. Mica siamo caporali, direbbe Totò.
L’identità non è ideologia, come accusano molti, ma coerenza, immagine unitaria, proposta politica lineare, rappresentanza sociale ferma, almeno per quanto possibile. L’appellativo “di governo”, che ci si è affibbiati, indica soltanto la voglia di starci (al governo), a qualunque condizione, nel bene e nel male, tanto per fare contenta la propria classe dirigente e i suoi staff politici, non per altro. Si diventa complici quasi senza accorgersene. Si diventa establishment e si è pure contenti di esserlo. Si perde di vista il senso, la prospettiva politica, e ci si contenta dell’esserci (nel senso peggiore).
Altrimenti non si spiega perché ci si possa spaccare sul “click” del voto online. Mentre tutto attorno è un disastro (guerra in Europa, pandemia, crisi, inflazione, disuguaglianze, povertà, destra al governo, assalto alle istituzioni democratiche) il PD sembra un teatrino delle marionette (con tutto il rispetto per i teatrini e per le marionette). A me pare un’indecenza, e lo dico con la morte nel cuore. E penso, come dicevo, agli amici e ai compagni che meriterebbero un destino politico migliore delle baruffe chiozzotte di questo presunto congresso. E penso anche a quelli che mi perculavano con arroganza quando dicevo che avrei votato 5stelle. Non mi pento affatto di quel voto, anzi. È stato meglio che mettere la mia faccia sull’orribile scempio della tradizione politica che si sta perpetuando con scandalosa leggerezza, che è poi la tradizione politica di mio padre e di mio nonno, di cui sono orgoglioso.


