Fonte: Piccole note
La “dottrina Dahiya” e il futuro di Gaza
Gaza e la catastrofica dottrina Dahiya
La dichiarazione della Leaf e quella di Hagari
Uno dei segnali è quanto ha dichiarato alla Commissione esteri della Camera Barbara Leaf, vicesegretario di Stato per gli affari del Vicino Oriente, la quale ha detto che il numero delle vittime di Gaza resta incerto e “potrebbe essere addirittura superiore a quello riferito” pubblicamente.
Il numero crescente di vittime civili sta scioccando il mondo e diventa sempre più difficile alla leadership occidentale legittimare quanto avviene con il diritto di Israele alla difesa. Reazione eccessiva, sproporzionata e anche poco intelligente quella di Tel Aviv, dal momento che ha seppellito sotto le macerie di Gaza l’ondata di solidarietà globale suscitata dall’attacco di Hamas e la sua immagine internazionale.
Gaza
La reazione eccessiva è stata ammessa pubblicamente dal portavoce delle Forze di difesa israeliane Daniel Hagari, il quale “parlando della fase iniziale dell’offensiva, ha rivelato che ‘l’enfasi’ della rappresaglia dell’IDF era ‘sul danno piuttosto che sulla precisione””.
La dottrina Dahiya
Si tratta della “dottrina Dahiya”, scrive Tharoor, che ha “preso forma sulla scia della guerra del 2006 tra Israele e Hezbollah in Libano” e che prende il nome dal quartiere di Beirut ridotto in macerie dai jet israeliani in risposta al rapimento di due dei suoi soldati. Una reazione durissima che sorprese Hezbollah, che si aspettava il lancio di qualche missile.
“La dottrina emersa dal conflitto fu articolata nella sua modalità più nota dal comandante dell’IDF Gadi Eisenkot. “Eserciteremo un potere sproporzionato contro ogni villaggio da cui vengono sparati colpi su Israele e causeremo danni e distruzioni immensi. Dal nostro punto di vista, si tratta di basi militari”, disse a un giornale israeliano nel 2008. “Questo non è un suggerimento. Si tratta di un piano già autorizzato”.
“Più o meno nello stesso periodo, l’ex colonnello israeliano Gabriel Siboni produsse un rapporto per l’Istituto per gli studi sulla sicurezza nazionale dell’Università di Tel Aviv in cui sosteneva che alle provocazioni dei militanti provenienti da Libano, Siria o Gaza fosse necessario dare una risposta basata su attacchi ‘sproporzionati’, che mirano solo in via secondaria a eliminare la capacità del nemico di lanciare razzi o altri attacchi. Piuttosto, l’obiettivo dovrebbe essere quello di infliggere danni duraturi, indipendentemente dalle conseguenze civili, come futuro deterrente”.
Le guerre di Gaza e la dottrina Dahiya
“Tale dottrina – scrive Tharoor – sembra che fosse in vigore anche durante una serie di ostilità tra Hamas, che attaccava da Gaza, e Israele tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009. Un rapporto commissionato dalle Nazioni Unite su quel conflitto, nel quale sono morti oltre 1.400 tra palestinesi e israeliani [questi ultimi furono 14, di cui 4 uccisi da fuoco amico], ha concluso che la campagna di Israele è stata ‘deliberatamente sproporzionata, progettata per punire, umiliare e terrorizzare la popolazione civile, diminuire radicalmente la capacità economica locale sia di lavorare che di provvedere a se stessa e imporre un incombente senso di dipendenza e vulnerabilità’”.
Gaza
“La dottrina rimase in vigore anche negli anni successivi. ‘I corrispondenti militari israeliani e gli analisti della sicurezza hanno ripetutamente riferito che la dottrina Dahiya fu la strategia adottata da Israele nel corso della guerra di Gaza dell’estate scorsa”, osservò lo studioso palestinese-americano Rashid Khalidi nell’autunno del 2014, quando una nuova campagna militare israeliana provocò la morte di oltre 1.460 civili, di cui quasi 500 bambini. ‘Siamo sinceri: in realtà questa non è tanto una dottrina strategica, quanto lo schema esplicito di una punizione collettiva, foriero di probabili crimini di guerra’”.
La dottrina Dahiya è impazzita
Ciò accade anche per l’attuale guerra, durante la quale, come annota Tharoor, “molti politici israeliani hanno chiesto la distruzione totale di Gaza, lo spopolamento del territorio e persino il reinsediamento di Israele” nella Striscia.
Gaza
Nessuno in Israele, ovviamente ,”ha esplicitamente invocato la ‘dottrina Dahiya’ come programma per la distruzione scatenata a Gaza”, osserva Tharoor, ma registra che il succitato “Eisenkot è membro del ‘gabinetto di guerra’ di Israele”.
In realtà, non è un membro qualsiasi, infatti egli è alla guida del gabinetto in questione insieme al bellicoso Benjamin Netanyahu e a Benny Gantz (che, pur considerato moderato, nelle elezioni del 2019 promosse la sua candidatura a premier con un video nel quale si vantava di aver fatto ritornare intere aree di Gaza “all’età della pietra” durante la guerra del 2014, nel corso della quale comandava l’IDF).
Insomma, l’attacco fuori registro di Gaza non è dettato solo dalla sete di vendetta, ma da lucida dottrina; o, forse meglio, un combinato disposto di tali elementi, con la “dottrina Dahiya” portata a un livello esponenziale quanto catastrofico.
Il segretario generale di Hezbollah Sayyed Hasan Nasrallah ha tenuto il suo secondo discorso dallo scoppio del conflitto tra la Resistenza palestinese ed Israele.
Nasrallah ha dato nuovi dettagli sul ruolo della Resistenza libanese nel conflitto, invitando a non ascoltare le sue parole, bensì ad osservare il campo di battaglia.
Chi si aspettava che il leader di Hezbollah annunciasse già un attacco diretto ad Israele lo scorso 3 novembre, così come oggi, ha compreso ben poco. Con le portaerei statunitensi nel Mediterraneo che attaccherebbero il Libano pochi minuti dopo un annuncio del genere. L’equazione di Hezbollah è semplice: restare uno spettro insidioso per Israele. Aumentando gradualmente l’intensità degli attacchi usando, come annunciato, dallo stesso Nasrallah con droni suicidi, usati per la prima volta nel profondo di Israele, nonché adoperando i missili a corto raggio Bukran da 500 e 1000 kg.
“Aggressione selvaggia”
Nasrallah, in primis, ha denunciato l’occupazione israeliana per la brutale aggressione a Gaza, ricordando che “gli attacchi sionisti mettono in luce la realtà di questo crudele nemico”.
“Il nemico israeliano sta intensificando la brutale aggressione contro Gaza mentre i combattenti della resistenza difendono eroicamente la loro terra. Il nemico israeliano attacca palesemente gli ospedali di Gaza e obiettivi civili davanti agli occhi del mondo intero”.
Per Sayyed Nasrallah c’è stato anche un cambiamento nell’opinione pubblica internazionale riguardo i crimini israeliani: “Il tempo sta scadendo per l’entità sionista poiché la sua ferocia e crudeltà vengono esposte di fronte alla comunità internazionale”.
Vertice di Riad. Tutte le pressioni devono essere dirette verso Washington
Riguardo all’incontro degli Stati arabi e islamici che ha avuto luogo oggi a Riad, Nasrallah ha affermato che i palestinesi si aspettano una posizione comune contro Israele da parte dei suoi 57 Stati membri.
A questo proposito, ha ricordato che chi gestisce, decide e conduce questa guerra a Gaza è l’amministrazione statunitense, e ogni pressione deve essere diretta verso Washington.
“Israele non gode più di alcun sostegno, eccetto quello del regime statunitense e del suo alleato britannico”, ha precisato.
“Fallimento” di Israele
Nel suo intervento, Nasrallah ha aggiunto che i combattenti della Resistenza combattono con grande spirito nonostante la dolorosa situazione psicologica che dimostra l’inettitudine di Israele.
In questo mese di continui bombardamenti e attacchi, l’occupazione israeliana “non è ancora in grado di mostrare un angolo di vittoria o di sconfitta e di crollo della Resistenza”, ha osservato.
Inoltre, ha elogiato la lotta unitaria dei combattenti in Cisgiordania, che “costringerà il nemico a ritirare alcune delle sue unità dalla frontiera con Gaza e il Libano.”
Su questa linea ha elogiato le forze armate yemenite definendo “molto importanti” i suoi attacchi missilistici e con i droni contro i siti israeliani, dal momento che hanno costretto, secondo il leader libanese, Israele a “mobilitare parte delle sue difese aeree, i suoi Iron Domes e i suoi sistemi Patriot, a Eilat, e a rimuoverli dal sud e dal nord della Palestina occupata”.
In questo senso, ha assicurato che, se esiste una forza di resistenza in Libano, Palestina e nella regione, è “grazie al sostegno militare e finanziario che proviene principalmente dall’Iran, che non ha risparmiato denaro, armi, addestramento e sforzi per i combattenti. Teheran persiste nei suoi sforzi, nonostante tutte le minacce” ha ricordato al riguardo.
Il fronte d’azione in Libano
Nasrallah ha spiegato il ruolo del fronte libanese dallo scorso 8 ottobre, giorno dell’operazione militare di Hamas, con la presenza costante di droni armati israeliani, che costituiscono un nuovo fattore nello scontro.
Tra l’altro, ha rivelato che i droni da ricognizione del movimento di Resistenza entrano quotidianamente nel profondo Israele con alcuni che raggiungono Haifa, Acri e Safed, e talvolta attraversano il nord.
In questo modo è chiaro che “la tendenza generale sul fronte meridionale del Libano è quella di rimanere un punto di pressione”, precisando qual è il ruolo di Hezbollah nel conflitto.
Infine, ha delineato le prospettive del conflitto: “La battaglia di oggi è diversa e non sono io ad annunciare i passi, è il campo di battaglia attuale che agisce e parla”, precisando che “siamo in una battaglia di perseveranza, pazienza, accumulo di risultati, punti e tempo.”
“Questa lotta sarà ciò che aiuterà la resistenza e il suo popolo a sconfiggere i tiranni”, ha concluso.


