Fonte: Strisciarossa
Lo sciopero è un diritto: difendere il sindacato è un dovere democratico
Uno sciopero si può condividere o meno e chi governa, legittimamente, può non condividerlo. Ma uno sciopero, in democrazia, si rispetta. Se non altro perché è un diritto previsto dalla nostra Costituzione che, dopo il buio del ventennio fascista, all’articolo 40 lo dà quasi per scontato: “Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”. Se i sindacati (che, non dimentichiamolo mai, rappresentano altrettanto legittimamente milioni e milioni di lavoratori) decidono che quella dello sciopero generale è l’unica arma per contrastare scelte del governo che considerano sbagliate, chi siede a Palazzo Chigi può anche irritarsi ma ha il dovere di rispettare la volontà di una parte sociale riconosciuta dalla Costituzione all’articolo 39: “L’organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge”. Non c’è molto da aggiungere su questo. Basta leggere, informarsi, rispettare la Costituzione che è costata la vita di tanti italiani. La scelta di precettare i lavoratori va esattamente nella direzione opposta.

La democrazia è solida se ci sono contrappesi
La destra che governa questo paese non riconosce i fondamenti della nostra Repubblica. Da un anno manifesta ogni giorno una preoccupante allergia nei confronti degli istituti della democrazia. Come sa qualunque studente di diritto la democrazia è salda se funziona ogni sua parte, se il potere non è concentrato nelle mani di uno soltanto, se ha dei contrappesi, se si rispetta il ruolo del Parlamento, se viene consentita la libera espressione di una opposizione politica, sociale e sindacale. Dire no a un governo, scendere in piazza per contrastare le sue scelte, scioperare per chiedere correttivi a una legge di bilancio, sono tutti comportamenti virtuosi in un sistema democratico. Pensarla al contrario vuol dire avere in mente un altro regime.
Ascoltate attentamente, ogni sera, le dichiarazioni degli esponenti della destra di governo nei tg. Annotatevi le frasi e scoprirete che sono espressione di una classe politica in perenne campagna elettorale contro l’opposizione, in qualunque modo si presenti. Questo è, da una parte, il sintomo di una debolezza politica: la premier e i suoi alleati si rendono conto che le cose stanno andando in modo diverso da come le avevano raccontate e allora spostano l’attenzione, cercano ogni volta nuove armi di distrazione di massa. Ma dall’altra, ed è l’aspetto più preoccupante, questi comportamenti sono espressione di una visione della politica e della società improntata al predominio di chi vince, al qui comando io e me ne frego di tutto il resto. Anzi, considero il resto un impaccio, un intralcio sulla via della mia totale affermazione.
Secondo questa logica sono un intralcio il Parlamento, i partiti di opposizione, i sindacati, i magistrati e tutti quelli che non intonano l’osanna alla prima premier donna della storia della repubblica. Qualcuno ha chiamato questo sistema “democratura” che è una crasi tra democrazia e dittatura: un sistema fondamentalmente autoritario dentro il vestito formale di una democrazia.

Le valutazioni compiacenti della Commissione di garanzia
La guerra che il vicepremier Matteo Salvini ha dichiarato ai sindacati, senza un’ombra di presa di distanza all’interno della maggioranza e con il silenzio assordante di Giorgia Meloni, rientra in questo schema: dare una spallata al diritto di sciopero per affermare il potere assoluto del governo. Aggrapparsi alle strambe valutazioni compiacenti della Commissione di garanzia sugli scioperi – che sta usando, grazie alla presenza di commissari legati ai partiti di governo, due pesi e due misure in base al colore delle sigle sindacali – è solo un modo per dare una lustratina falsamente superpartes a un atto di protervia con il quale si è arrivati alla gravissima decisione di precettare i lavoratori. Le ignobili parole del ministro delle Infrastrutture su quelli che scioperano solo per avere il “week end lungo” o sui “capricci” di Maurizio Landini sono un’ulteriore prova di una maggioranza di governo che considera reato di lesa maestà il diritto di parola, di critica e di manifestazione.
Se tutto questo ha un suo fondamento, e io credo che ce l’abbia, ogni cittadino dovrebbe preoccuparsi. Perché la solidità di una democrazia è tema centrale a prescindere da chi, in un preciso momento temporaneamente, si trovi ad occupare le stanze di Palazzo Chigi. E non esiste una democrazia solida senza che sia rispettato il ruolo dei suoi attori politici e sociali. Il sindacato è uno di questi e va difeso perché indebolendo il sindacato si indebolisce la democrazia. Va difeso per evitare che ritorni in auge l’idea – fascistissima come le leggi da cui fu originata nel 1925 – di un sindacato governativo, unico autorizzato a firmare contratti e a rappresentare i lavoratori. Senza disturbare, ovviamente, l’uomo o la donna soli al comando.


