Israele e Gaza, il dibattito si è trasformato in faida?

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Chiara Saraceno
Fonte: La Stampa

Israele e Gaza, il dibattito si è trasformato in faida?

Ciò che accade a Gaza è sicuramente materiale incandescente nel dibattito pubblico e privato, perché si mescolano e sovrappongono questioni diverse: l’irrisolta questione palestinese e il loro diritto ad avere un proprio stato e prima ancora a rimanere sul proprio territorio e nelle proprie case, il diritto di Israele a non essere continuamente sotto minaccia, l’orrore del massacro di israeliani da parte di Hamas del 7 ottobre 2023 e quello degli eccidi quotidiani da parte dell’esercito israeliano che da oramai due anni decimano sistematicamente la popolazione di Gaza, persino quando è in fila per (poco) cibo.

Capire la complessità della situazione, tuttavia, non significa né evitare di prendere posizione per timore di offendere qualcuno o di essere fraintesi, né cercare di individuare delle linee che non dovrebbero essere sorpassate, delle priorità che vanno affrontate subito – salvaguardare le vite, nutrire gli affamati, portare a casa gli ostaggi, lasciare aperta la speranza a chi è stato tolto tutto. Anche se chi lo fa corre il rischio, appunto, di essere accusato di parzialità, di non vedere la complessità, di semplificare troppo, quando non di essere un nemico.

E’ ciò che sta succedendo nel dibattito che si è acceso attorno alla rivista on line il Mulino e tra i soci della associazione – tutti professori universitari e intellettuali di varia formazione e orientamento culturale e politico – che ne sono, per così dire, gli editori responsabili, in quanto ne eleggono il direttore e i componenti della redazione.

Un’accusa, per altro, condivisa anche dal direttore della rivista, Pombeni, irritato dal fatto che molti soci dell’associazione non abbiano gradito la pubblicazione di un articolo del noto demografo Sergio Della Pergola (che non è socio dell’associazione) in cui, all’interno di una lunga e articolata analisi del conflitto in atto (ancorché fortemente sbilanciata sulle ragioni di Israele e i torti dei leader palestinesi e dei loro sostenitori medio-orientali) si parlava delle decine di migliaia di morti a Gaza come di “danni collaterali”, ancorché devastanti per gli abitanti, di un’operazione militare necessaria, non solo per rispondere alla strage perpetrata da Hamas il 7 ottobre 2023, ma per riequilibrare le forze in campo.

 

Non so che scambi siano avvenuti sui social, dato che non li frequento. Ma so, per essere tra i firmatari, che cosa un gruppo di soci ha scritto sulla medesima rivista in un articolo in risposta alla lettura degli eccidi che avvengono quotidianamente nella striscia di Gaza come appunto meri danni collaterali e non atti orrorosi di vero e proprio sterminio, che colpiscono chiunque si trovi lì, impedendo di trovare riparo e una possibilità di vita. Un eccidio e una spinta all’espulsione che si somma a ciò che da tempo avviene in Cisgiordania, con il silenzio/assenso del governo e dell’esercito, oltre che della comunità internazionale.

Un articolo certo duro e sicuramente parziale, come è inevitabile in un testo che deve essere breve. Ma ragionato e che non conteneva nessuna accusa a Della Pergola di essere “servo dei sionisti” o simili, come invece sostiene Feltri, e nessun insulto, a differenza di Della Pergola, che invece ci ha accusati, in un articolo apparso sull’edizione bolognese di Repubblica, di essere fiancheggiatori di Hamas.

 

Ridurre questo, conflittuale, ma serio dibattito ad una faida farcita di insulti reciproci e/o alla bassa cucina dei giochi di potere dell’associazione, come suggerisce Feltri e sostiene anche il direttore della rivista, sposta l’attenzione dal dramma della popolazione di Gaza e dei palestinesi di Cisgiordania, ma anche quello degli ostaggi israeliani ancora in mano ad Hamas e a ciò che Anna Foa ha dolorosamente definito il suicidio di Israele, sulla fin troppo facile immagine di intellettuali impotenti e imbelli, chiusi nel loro recinto, in fin dei conti inutili.

Altro che cercare di guardare alla ferita di Gaza come cartina di tornasole della nostra civiltà e della nostra disponibilità a non nascondere l’inaccettabile sotto gli opposti bilancini in cui si soppesano minuziosamente torti e ragioni, ma le vite (altrui) sono vuoti a perdere.

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