LA LIBERTA’ E LE PIETRE. DIALOGO A DISTANZA TRA SPINOZA E CERONETTI

per Filoteo Nicolini

LA LIBERTA’ E LE PIETRE. DIALOGO A DISTANZA TRA SPINOZA E CERONETTI

Quanto più lo spirito si abitua alla rigida precisione del pensiero matematico e geometrico, sempre meno sarà capace di cogliere la diversità mobile, cambiante, qualitativa dell’essere. Così ammoniva Aristotele. Ora, se si osserva il modo in cui Baruch Spinoza (1632-1677) fonda la sua filosofia, si osserva che l’ha modellata sul metodo della matematica. Infatti, scopre che si può iniziare solo con qualcosa che non ha bisogno di nient’altro per essere. Egli dà il nome, sostanza, a questo essere. Afferma che può esserci solo una tale sostanza, e che questa sostanza è Dio. Proprio come il matematico parte da verità generali, che l’Io umano si forma nella libera creazione, così Spinoza esige che la filosofia parta da tali concezioni create spontaneamente. Detto in questo modo, la sostanza non tollera nulla che esista al di fuori di sé come un suo pari, perché allora non sarebbe tutto. Avrebbe bisogno di qualcosa di diverso da sé per la sua esistenza.

Tutto il resto è attributo della sostanza, dice Spinoza. Due di questi attributi sono riconoscibili a tutti. Vediamo il primo quando guardiamo il mondo esterno; il secondo, quando rivolgiamo la nostra attenzione all’interno. Il primo è l’estensione; il secondo, il pensiero. Li conteniamo entrambi nel nostro essere. Nel corpo l’estensione; nell’anima, il pensiero. Quando pensiamo, è la sostanza divina che pensa; quando agiamo, è questa sostanza che agisce. Spinoza ottiene l’esistenza per l’Io ancorandolo alla sostanza divina generale e onnicomprensiva. Deus sive Natura, Dio, ovvero la Natura, sta ad indicare l’identità di Dio, visto come sostanza infinita da cui tutto dipende, e la Natura, l’insieme di ciò che esiste.

Questa consapevolezza, quindi, per seguire Spinoza, conferisce all’intera personalità umana l’impulso a fare ciò che è giusto, cioè a dire un’azione piena di Dio. Ciò risulta ovvio per colui per il quale la corretta concezione del mondo si realizza come la piena verità. Per questo motivo Spinoza chiama il libro in cui presenta la sua concezione del mondo, Etica. Per lui, l’etica, cioè a dire il comportamento morale, è nel senso più alto il risultato della vera conoscenza dell’abitare dell’uomo nell’unica sostanza.

Ma, in tali circostanze non si può parlare di una libertà assoluta dell’uomo, poiché all’uomo non si deve attribuire l’iniziativa delle sue azioni e del suo pensiero più di quanto a una pietra sia attribuibile quella del suo movimento; l’agente in ogni cosa è l’unica sostanza.

E qui cito testualmente:” Immaginate ora voi, per favore, che la pietra, mentre si muove, pensi e sappia che sta sforzandosi, per quanto può, a perseverare nel suo movimento. Questa pietra, ora cosciente del suo sforzo e per nulla indifferente nel suo comportamento, crederà di essere completamente libera, e di persistere nel suo movimento per nessun’altra causa se non perché lo vuole. Ma questa è quella libertà umana che tutti ritengono di possedere e che consiste in questo: che gli uomini sono coscienti dei propri desideri, ma non conoscono le cause da cui essi vengono determinati. Così il bambino crede di desiderare liberamente il latte, l’offeso liberamente la vendetta, il timido la fuga. Così l’ubriaco crede di dire per sua libera volontà le parole che, tornato in sé, vorrebbe non aver detto; e poiché tale pregiudizio è innato, riesce difficile disfarsene. Anche se l’esperienza insegna che gli uomini sanno dominare poco i propri desideri e seguono le passioni, tuttavia essi si ritengono liberi”. Fin qui Spinoza.

 

Valgono però le seguenti osservazioni che in epoca contemporanea sono state mosse a questa negazione della libertà individuale.

Il fatto è che noi siamo generalmente coscienti della nostra azione e ci riteniamo liberi autori della stessa. Ma non possiamo trascurare che agiamo sotto spinta di cause. Infatti, non abbiamo soltanto coscienza dell’azione ma possiamo avere coscienza delle cause dalle quali quell’azione è guidata. Nessuno contesta che il bambino non è libero nel desiderare il latte, come non è libero l’ubriaco quando dice cose di cui più tardi si pentirà. Entrambi ignorano le cause che sono attive nella profondità del loro organismo e sotto la cui costrizione si trovano. Ma è giustificato mettere in un solo fascio azioni di tal genere con altre nelle quali la persona non solo è cosciente del proprio agire, ma anche delle cause che lo spingono? L’azione del ricercatore nel laboratorio scientifico, possono essere messe allo stesso livello del bambino che cerca il latte? È una gran differenza quella che corre fra il caso in cui so perché faccio una cosa e il caso in cui non lo so. Il motivo della mia azione, che io riconosco e condivido, rappresenta per me una coercizione nello stesso senso è coercizione il processo fisiologico che lo fa piangere per il latte?

 

A questi argomenti pacati, aggiungo ora le osservazioni pungenti e graffianti di Guido Ceronetti (1927-2018). Ceronetti* si chiede se Spinoza conoscesse veramente il cuore umano, inafferrabile alla sua precisione geometrica. Il celibato di Spinoza si coniuga con la troppa castità, la miseria umana è bandita dal suo sistema, è sentimento tragico, e la tragedia è la bestia nera di Spinoza. L’errore, la stortura, il dolore, il peccato, la mostruosità, la caricatura, l’imperfezione, l’assurdità, la deformità, la demenza, sono lontane anni luce dalla felicità intellettuale, e nessuno piange, nessuno ride, guai a sentire malinconia nella filosofia spinoziana. Con pazienza, Spinoza ne cancella ogni traccia, come nella sua filosofia ridere e piangere è vietato, così come è scandaloso e degno di esclusione il gridare dei Profeti che ansimano, rantolano, scherniscono. Spinoza reprime il grido profetico, ne ha paura perché ne sente la forza cosmica. È perplesso, umanamente vinto da ciò che è oscuro, davanti al mistero della follia, ai bambini, ai malati dell’anima, ai suicidi. È di ghiaccio quella durezza metafisica, il mondo è lì con i suoi demoni e Spinoza rifiuta di guardarli per non essere attirato da loro. Scompaiono alla vista gli ospedali di incurabili, i lazzaretti, le Navi dei Pazzi, i nani di Velasquez e le donne barbute di Ribera, le streghe di Goya, le estasi e levitazioni, gli stigmi, gli spettri. Teme l’irrazionalità dei bambini, esseri non spinoziabili perché dati all’immaginazione, come le donne, esseri a volte dotati profezia, antitesi della conoscenza. Per Spinoza l’immaginazione è una specie di impurità, i sentimenti anche essi sono immaginazioni, ed è l’immaginazione che rende incomprensibili i bambini, i pazzi e i poeti. La sua lontananza dagli animali è pari a quella dei pazzi e dei bambini. E scrive:” la legge che proibisce di immolare le bestie è fondata più su una vuota superstizione e una compassione da femmine, che sulla sana Ragione.”

 

Spinoza erige una struttura di pensiero puro; ma dovremmo ottenere una concezione del mondo non solo attraverso il pensiero, ma attraverso l’intera vita dell’anima umana.

 

FILOTEO NICOLINI

*Guido Ceronetti, Lanterna del filosofo, Adelphi, 2005.

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