Draghi, Il fallito di successo

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Marco Travaglio
Fonte: Il Fatto Quotidiano

Draghi, Il fallito di successo

Marco Travaglio – Non che le standing ovation al Meeting di Rimini facciano testo: se avessero avuto una puntina di potere, ne sarebbero usciti in trionfo anche il canaro della Magliana e la saponificatrice di Correggio. Però questo Draghi è proprio nato con la camicia.

Da tre anni passa la vita a pentirsi di tutto ciò che ha detto e fatto nei 75 precedenti, eppure continuano tutti a pendere dalle sue labbra come se fosse la Pizia di Delfi. E a rimpiangere la sua mitica Agenda, peraltro mai rinvenuta dagli archeologi e dagli speleologi addetti alle ricerche, ma già demolita dal suo stesso autore. Dopo aver smontato il neoliberismo, di cui fu il massimo alfiere nazionale, e il rigore di bilancio che ha impoverito gli europei e depresso salari e consumi rendendoci dipendenti dall’export, tant’è che adesso vuole “potenziare la domanda interna” (con quali soldi?) e “il debito comune” (ma solo quello “buono”, per comprare armi), Draghi si è pentito persino della sua tesi di laurea in cui sbertulava la moneta unica europea: in pratica non ne azzecca una fin dalla più tenera età. Poi ha fatto a pezzi l’Ue, “rassegnata ai dazi” di Trump e “spettatrice” sulle guerre, come se non ne fosse uno dei più ascoltati consulenti, ma uno sfegatato sovranista. E come se nel 2021-22, da premier, non avesse contribuito ad asservirci agli Usa. Forse che farsi dettare la politica estera da Rimbambiden fino a violare l’articolo 11 della Costituzione è cosa buona e giusta, mentre se arriva Trump non più? Resta da capire cos’abbia fatto Draghi da Premier dei Migliori sulla guerra in Ucraina, a parte spiegarci che dovevamo scegliere tra la pace e il condizionatore acceso, proporre in tutti i summit il price cap sul gas (sempre respinto con perdite) e dichiarare testualmente il 6.6.2022: “Non c’è alternativa per gli Usa, l’Europa e i loro alleati se non garantire che l’Ucraina vinca questa guerra: accettare una vittoria russa o un pareggio confuso indebolirebbe fatalmente altri Stati confinanti e manderebbe un messaggio agli autocrati che l’Ue è pronta a scendere a compromessi. Vincere questa guerra per l’Europa significa avere una pace stabile”. Purtroppo gli diedero ascolto: infatti la guerra è persa e la pace stabile non è arrivata perché tutti, lui compreso, l’hanno sempre sabotata.

Qualche tempo fa Carlo Calenda, un Draghi che non ce l’ha fatta, confessò: “Ho sostenuto per 30 anni le cazzate dei neoliberisti”. Poi iniziò a scusarsi per tutte le altre, tipo quella di aver imbarcato Renzi. Ma tutti i media hanno continuato ad auscultarlo come un oracolo, senza pensare che ciò che dice oggi lo rinnegherà domani col capo cosparso di cenere. È la demeritocrazia italiota: più fallisci e più piaci. Come dimostra lo strano caso di Mario Draghi, un Calenda che ce l’ha fatta.

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