Io, invece, difendo l’appello anti-Butler e Gadot a Venezia

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Tomaso Montanari
Fonte: Il Fatto Quotidiano

Io, invece, difendo l’appello anti-Butler e Gadot a Venezia

A differenza di Marco Travaglio, condivido in pieno la richiesta degli artisti riuniti in Venice4Palestine di non invitare alla Biennale attori come “Gerard Butler e Gal Gadot, protagonisti di un film fuori concorso, che sostengono ideologicamente e materialmente la condotta politica e militare di Israele”. Non ha nulla a che fare con la censura, che per definizione è esercitata dal potere contro il dissenso: qua, al contrario, i poteri occidentali sono compattamente per Israele, il carnefice. Mentre per la vittima, il popolo palestinese, milita un dissenso dal basso: questo sì, censuratissimo. Gli artisti non chiedono il boicottaggio della cultura israeliana in quanto tale, né quello dei loro colleghi israeliani: chiedono di non invitare figure personalmente compromesse, in vari modi, con la propaganda del governo di Tel Aviv. Tanto per capirsi: quando Gal Gadot ha criticato Netanyahu nel 2019, con la frase, citata da Travaglio, contro l’apartheid che vige in Israele, ha chiamato ‘arabi’ i palestinesi con documenti israeliani, secondo una prassi che nega anche con le parole l’identità palestinese. Dopo il 7 ottobre, Gadot aveva provato a smarcarsene, scrivendo una cosa profondamente condivisibile (“Uccidere palestinesi innocenti è orribile. L’uccisione di israeliani innocenti è orribile. Se non provi lo stesso, dovresti chiederti perché”): salvo cancellarla dopo le proteste furiose dei suoi concittadini. Un episodio che svela la piena consapevolezza dell’attrice e che getta una luce anche più sinistra sul suo incondizionato sostegno a Israele, e in particolare all’Idf (“vinceremo!”, ha scritto sui social più volte…).

La premessa di qualunque discussione su tutto questo riguarda ciò che si pensa stia avvenendo a Gaza. Se lo si considera una guerra, tra le tantissime purtroppo in corso, si potrà anche pensare che la Biennale possa restarne fuori. Ma se (con la scienza giuridica mondiale, i massimi esperti storici e la parte più avveduta della cultura mondiale) lo si considera un genocidio, allora le cose cambiano. Chi avrebbe accolto un artista serbo che sosteneva il governo genocida di Karadzic? Chi avrebbe accolto un artista tedesco in sintonia con il governo nazista di Hitler, nei primi anni 40 del ’900? Davvero la Biennale di Venezia può rimanere fuori da una cosa così enorme? Una potenza nucleare nostra alleata elimina scientificamente uomini, donne e bambini in quanto appartengono a una etnia ritenuta ‘colpevole’, e noi continuiamo come se nulla fosse a predicare l’irresponsabilità degli artisti? L’appello di Venice4Palestine si apre con un verso di William Auden: “Fermate gli orologi, spegnete le stelle”, spiegando che “il carico è troppo per continuare a vivere come prima”. Davvero pensiamo che le prossime generazioni ci rimprovereranno per aver ‘censurato’ Gadot e Butler? O, al contrario, per non aver fatto tutto quello che potevamo per fermare il crimine più enorme del nostro tempo, il genocidio (fatto anche con armi italiane, e comunque sostenuto dall’Occidente) dei palestinesi? I ‘mai più’ che abbiamo ripetuto a ogni Giorno della Memoria erano pura retorica vuota? O forse non valgono se a essere sterminati sono non bianchi e (in maggioranza) non cristiani? Prendere posizione, contro ogni complicità, è il minimo che possiamo, anzi dobbiamo) fare. Anche a Venezia.
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Caro Tomaso, il Fatto prende posizione ogni giorno e fin dal primo giorno contro i crimini del governo israeliano, anche a tua firma. Ma, appunto, contro il governo israeliano, non contro artisti, intellettuali e cittadini che in ogni Paese devono essere liberi di dire o non dire ciò che vogliono senza subire alcun danno per aver detto ciò che non piace a qualcuno o non aver detto ciò che piace a qualcuno (e chi sarebbe, poi, il “qualcuno” titolato a dispensare patenti di accettabilità?). Per fermare lo sterminio a Gaza bisogna sanzionare il governo israeliano e levargli le armi, non impedire a due attori (che fra l’altro non hanno mai detto una parola favorevole o corriva sullo sterminio) di presentare un film a un festival. Io spesso non condivido ciò che tu scrivi, ma lo pubblico e non mi sognerei mai di importi di scrivere quel che penso io. È questo il punto-chiave che distingue le democrazie liberali dalle autocrazie.

Marco Travaglio

 

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