Una tenda per condividere il lutto, soltanto così si arriva alla pace

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Anna Foa
Fonte: La Stampa

Una tenda per condividere il lutto, soltanto così si arriva alla pace

Come nel villaggio di Neve Shalom, israeliani e palestinesi confrontino il proprio dolore

Siamo nel momento in cui sembra che nessuna tregua, nessuna pace potrà mai avvicinare israeliani e palestinesi, mentre Gaza intera brucia e masse immense di palestinesi si trascinano senza più forze da una parte all’altra della Striscia, mentre i civili muoiono ad ogni istante. L’odio è al suo punto massimo, il culto della forza ha la sua apoteosi.

Eppure, piccoli semi di pace, di rispetto per l’altro, di empatia per le sofferenze di chi è chiamato ormai solo “nemico” si affacciano in questo marasma. Giovanissimi israeliani che vanno a far da scudi col loro corpo di ebrei ai palestinesi di Cisgiordania, ebrei e arabi israeliani che manifestano insieme per porre fine alla guerra, al massacro. Ed è sopravvissuto all’odio divampato in questi due anni l’esperimento straordinario di Neve Shalom, il kibbutz in cui palestinesi e ebrei vivono insieme ed insieme elaborano il loro dolore e le loro speranze. Ricordate, in quella prima guerra mondiale che il presidente Mattarella ci ha recentemente evocato, l’episodio del primo Natale di guerra, celebrato assieme, senza più fronti, dai soldati degli eserciti nemici? Se un episodio simile si fosse moltiplicato, se fosse diventato un oceano, forse molti milioni di morti sarebbero stati evitati.

L’esempio di Neve Shalom sarà ripreso domenica 21 settembre a Milano, al Giardino dei Giusti dell’Umanità creato dalla Fondazione Gariwo a Monte Stella, con l’installazione della Tenda del lutto: un luogo in cui chi è in lutto, chi ha perduto qualcuno in questa guerra, chi non riesce a avere pace dentro di sé, trovi un inizio di pace parlando col “nemico”, avvicinandolo e cercando di comprendere i suoi stati d’animo, e spiegandogli i suoi. É un’esperienza fondamentale fatta in questi anni a Neve Shalom, e riprenderla oggi, qui dove non ci sono bombe ma linguaggio d’odio e violenza, può essere importante. Perché la tenda del lutto accanto alla riconciliazione elabora anche il vero, cioè il senso della giustizia. Come nel Sudafrica di Desmond Tutu dove verità e riconciliazione andarono insieme, aiutando ad uscire dall’odio. Verità per riconoscere i carnefici e distinguerli dalle vittime, riconciliazione per porre fine alla guerra.

 

Perché discutere col nemico e riconoscerlo come proprio simile, toglie alla violenza di guerre come questa, sproporzionate, volte a distruggere e basta, le sue motivazioni profonde. Uccidere i civili, vecchi, malati, bambini, richiede prima che essi siano privati della loro umanità. Lo hanno fatto i nazisti nella Shoah contro gli ebrei, lo hanno fatto tutti i perpetratori nel corso delle violenze e dei genocidi che hanno costellato i decenni che abbiamo alle spalle. E ora le voci dei fanatici di Israele ci dicono che questi bambini palestinesi devono morire perché saranno i terroristi di domani. No, rifiutiamo questa disumanizzazione. Sediamo nella tenda del lutto a riconoscere l’umanità dell’altro.

 

Mai una scelta, ci diranno i realisti, quelli che valutano ciò che accade in Medio Oriente solo in termini di geopolitica, fu più utopica. Eppure, forse proprio per questo, ha la possibilità di smuovere gli animi, di trarli fuori da questa contrapposizione muro contro muro. Nella giustizia, cioè nel riconoscimento che la legge del più forte, che da due anni è esercitata da Israele ma che il 7 ottobre lo fu da Hamas, è di per sé profondamente ingiusta ed immorale.

Molti, impegnati nella resistenza a questa inutile strage, hanno dato il loro assenso. Ma a parte i nomi noti, ma a parte i politici, questa è per sua natura, dovrà essere, un’iniziativa di tutti. Di chi guarda con dolore al conflitto, soffre per i morti, come di chi scopre nel suo cuore indifferenza e sceglie di combatterla. Sedersi in quella tenda richiede una scelta. E poi, è un momento di pace, e ne abbiamo così pochi che converrà davvero tenercelo caro.

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