Sanità in Italia (1960–1978): dalla crescita economica alla conquista dell’universalità
Di Mino Dentizzi
Dopo il 1960, con il pieno sviluppo del “miracolo economico”, l’Italia cambiò rapidamente volto. La crescita industriale, l’urbanizzazione e il miglioramento delle condizioni di vita ebbero effetti diretti anche sulla salute della popolazione. il PIL cresce dell’85,5% in termini reali tra il 1960 e il 1970. La popolazione passa da 47 milioni nel 1950 a 56 milioni nel 1978. Questo sviluppo porta a:
Urbanizzazione accelerata
Miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie
Aumento dell’aspettativa di vita: nel 1960 era di 67,5 anni, nel 1970 raggiunse i 71, e alla fine del decennio superò i 73 anni.
Il sistema delle mutue e i suoi limiti
Nonostante i progressi, l’assistenza sanitaria restava legata alle casse mutue, retaggio del modello tedesco Bismarck di fine ottocento, che si era sviluppato in Italia nel corso del Fascismo e si era ulteriormente consolidato negli anni 50 e 60. che negli anni Sessanta coprivano una quota crescente di cittadini.
Nel 1950 copre il 33% della popolazione. Nel 1966 raggiunge l’82%. Nel 1976 arriva al 95%, pari a 54 milioni di cittadini
Tuttavia, il sistema era iniquo e frammentato: alcune categorie avevano coperture molto ampie, altre minime, mentre milioni di italiani – casalinghe, disoccupati, lavoratori precari – restavano esclusi e le disparità territoriali sono evidenti, soprattutto nel Mezzogiorno. Si erano una miriade di casse mutue grandi (come l’INAM che copriva i dipendenti delle imprese private o l’ENPAS che riguardava i dipendenti statali) e piccole, finanziate in parte dai datori di lavoro e in parte dai dipendenti, che garantivano ai propri iscritti (in modalità molto diverse da mutua a mutua) l’assistenza medica di base (attraverso medici di famiglia e specialisti convenzionati), l’assistenza farmaceutica e quella ospedaliera.
Dal 1964 al 1974 la spesa mutualistica passò da meno di 900 miliardi di lire a oltre 4.500 miliardi di lire, con un incremento annuo del 17,45%, di gran lunga superiore al tasso d’inflazione. La liquidazione delle Casse Mutue era la condizione imprescindibile per l’effettiva messa in opera della Riforma sanitaria. Ma tutto rimane bloccato, nonostante in parlamento, agli inizi degli anni 70, giacessero proposte di legge riforma (sul modello Seppilli) presentate da PCI, PSI e DC.
La Legge Mariotti (1968): la prima grande riforma ospedaliera
Il sistema ospedaliero era molto frammentato, tra ospedali pubblici e ospedali privati generalmente di proprietà di enti religiosi, che tuttavia trovò una più moderna regolamentazione con la Legge Mariotti (ministro della salute) del 1968.
Questa norma trasformò profondamente il panorama ospedaliero:
gli ospedali diventarono enti pubblici autonomi, non più gestiti da enti caritatevoli o mutualistici;
fu introdotto il concetto di ospedale come centro di cura, ricerca e insegnamento;
nacquero i Policlinici universitari, con l’obiettivo di legare la formazione medica alla pratica clinica;
vennero avviati processi di standardizzazione delle strutture, con un più chiaro controllo pubblico.
La Legge Mariotti segnò dunque una svolta: pur non superando il sistema mutualistico, rafforzò il ruolo dello Stato e preparò il terreno per il Servizio Sanitario Nazionale.
Gli enti locali.
Il funzionamento e le competenze degli Enti Locali, Comuni e Province, era regolato dal Testo Unico delle Leggi sanitarie risalente al 1934. I Comuni si occupavano di Igiene (dell’acqua, dell’aria, dei rifiuti, controllo delle malattie infettive, vaccinazioni, etc) e dell’assistenza medica agli indigenti; le Province esercitavano il controllo sui Comuni, attraverso il Medico Provinciale, avendo inoltre la competenza sulla salute mentale, con la gestione dei manicomi.
La lotta alle malattie e le vaccinazioni
Negli anni Sessanta e Settanta, parallelamente alla riforma ospedaliera, proseguì la lotta alle malattie infettive: Gli anni ’60 e ’70 vedono un’intensa attività vaccinale:
Pertosse: introdotta nel 1961, incidenza ridotta da 76,2 casi per 100.000 abitanti (1961) a 12,7 nel 1981
Poliomielite: introdotta nel 1964, resa obbligatoria nel 1966
Antitetanica: obbligatoria dal 1968 per i neonati
Morbillo: vaccino introdotto nel 1976
La mortalità infantile cala drasticamente: da 43,9 per mille nel 1960 a 30,8 nel 1969. Nel 1975 scende al 2,7% (27 per mille).
Gli ospedali e la spesa sanitaria
Nonostante i progressi, le disparità territoriali persistevano: al Sud l’offerta di posti letto e strutture rimaneva inferiore rispetto al Nord. Negli anni Settanta la spesa sanitaria crebbe fino a superare il 5% del PIL, segno di una crescente domanda di cure.
Ruolo dei sindacati nella spinta riformista
Tra il 1970 e il 1978, le tre principali confederazioni sindacali italiane — CGIL, CISL e UIL — si unirono in una piattaforma comune per chiedere una riforma radicale del sistema sanitario. Alcuni momenti chiave:
Autunno 1970: le confederazioni stilano un documento congiunto che propone l’istituzione delle Unità Sanitarie Locali (USL), con servizi di medicina scolastica, ginecologia e medicina del lavoro.
1975–1976: si intensificano le mobilitazioni territoriali, con manifestazioni e assemblee pubbliche in molte città, in particolare nel Nord industriale e nelle grandi aree urbane.
1976: la Federazione provinciale CGIL-CISL-UIL di Milano pubblica il documento Per la salute delle lavoratrici, che denuncia le carenze del sistema mutualistico e propone un modello di sanità pubblica e territoriale.
In quegli anni, si parla di supplenza sindacale: i sindacati si assumono un ruolo progettuale, elaborando proposte concrete di riforma in assenza di iniziativa politica. Come ha osservato Bruno Trentin, si trattava di una “progettualità capace di esprimersi anche in nuove forme autonome di organizzazione e di rappresentanza dei lavoratori”.
I principali interlocutori dei sindacati furono:
Luigi Mariotti, ministro della Sanità (PSI), già artefice della Legge Mariotti del 1968
Carlo Donat Cattin, ministro del Lavoro (DC), favorevole a una sanità pubblica e decentrata
Questi rapporti contribuirono alla stesura della Legge n. 833 del 23 dicembre 1978, che istituì il SSN.
Oltre ai sindacati, anche i movimenti sociali, femministi e studenteschi parteciparono alle lotte per la salute.
I giovani, soprattutto studenti universitari, furono protagonisti di mobilitazioni che legavano la salute alle condizioni di vita, al lavoro e all’ambiente. Le rivendicazioni includevano:
Medicina preventiva e territoriale: richiesta di consultori, ambulatori scolastici e servizi di salute mentale accessibili
Salute nei luoghi di lavoro: denuncia delle malattie professionali e delle condizioni insalubri nelle fabbriche
Autogestione e partecipazione: occupazioni di facoltà di medicina e assemblee pubbliche per discutere modelli alternativi di cura
Questi movimenti giovanili contribuirono a diffondere una visione della salute come bene collettivo, non riducibile alla prestazione medica.
Un aspetto peculiare e particolarmente significativo di quei “memorabili anni settanta” fu che le riforme partirono davvero dal basso, precedendo la loro approvazione parlamentare, per opera di amministratori coraggiosi e illuminati e con il diffuso coinvolgimento degli operatori sanitari e sociali e della popolazione.
Soprattutto in tre Regioni – Piemonte, Emilia-Romagna e Toscana – verso la metà degli anni settanta furono istituiti i Consorzi socio-sanitari, prefigurando le future USL, volti a garantire la gestione dei servizi, delle attività sanitarie e sociali, compresi gli interventi di igiene ambientale e medicina del lavoro.
Il femminismo degli anni ’70: il corpo come spazio politico
Il movimento femminista italiano, nella sua “seconda ondata”, portò al centro del dibattito politico il corpo femminile, la sessualità, la maternità e la salute riproduttiva. Le principali rivendicazioni furono:
Consultori pubblici e autogestiti
Richiesta di consultori familiari accessibili, laici e non medicalizzati. Occupazioni di spazi per creare consultori autogestiti, come quello di via Callegari a Padova nel 1976
Aborto libero e gratuito
Campagne per la legalizzazione dell’aborto, culminate nella Legge 194 del 1978
Denuncia della medicalizzazione forzata e della violenza ginecologica
Salute mentale e sessualità
Critica alla psichiatria patriarcale e sostegno alla Legge Basaglia (1978)
Riflessione sulla sessualità femminile come espressione di libertà e non solo di procreazione
Autocoscienza e separatismo
Gruppi di autocoscienza femminile come luoghi di elaborazione del vissuto corporeo e psichico
Pratica del separatismo come forma di autonomia da modelli maschili e istituzionali
Cultura e produzione politica
Il femminismo degli anni ’70 fu anche produzione culturale:
Fondazione di riviste come Rivolta Femminile e Sottosopra
Scritti di Carla Lonzi, Lea Melandri e altre teoriche che ridefinirono il concetto di salute come esperienza soggettiva e relazionale, non solo biologica
Impatto sulle politiche sanitarie
Le lotte giovanili e femministe influenzarono direttamente:
La nascita dei consultori pubblici (Legge 405/1975)
La Legge 194/1978 sull’interruzione volontaria di gravidanza
Verso il Servizio Sanitario Nazionale
La svolta arrivò con la legge n. 833 del 23 dicembre 1978, che istituì il Servizio Sanitario Nazionale (SSN): un sistema pubblico, universale e finanziato dalla fiscalità generale, che garantiva a tutti i cittadini il diritto alle cure, in applicazione piena dell’art. 32 della Costituzione.
Conclusione
Tra il 1960 e il 1978 la sanità italiana passò da un sistema diseguale e corporativo a un modello universalistico. La Legge Mariotti del 1968 fu una tappa fondamentale: riorganizzò gli ospedali, rafforzò il controllo pubblico e preparò la strada alla grande riforma del 1978. Con l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, la salute cessò di essere un privilegio di categoria per diventare un diritto di cittadinanza in piena attuazione dell’art. 32 della Costituzione.
Mino Dentizzi


