Fonte: La Stampa
Così il Paese ritrova la sua umanità
Questo è il mio Paese”. Non so quanti, come me, l’hanno pensato ieri, vedendo le piazze d’Italia strapiene, ma credo tanti, con meraviglia, perché credevano di averlo perso – di averne smarrito l’umanità – e invece, d’un colpo, l’hanno ritrovato. Ci sono giornate che rompono lo stato ordinario delle cose, e che segnano uno spartiacque, rivelando spostamenti profondi, tellurici, nel costume, nella morale condivisa. Travolgendo tutti i modi consolidati di considerare i fatti politici e sociali. Rendendo inutili le vecchie forme del discorso e dello stesso scontro politico. E il 3 di ottobre (ma tutti i giorni che l’hanno preceduto) è una di queste.
La marea che si è riversata nelle strade e nelle piazze, tanto grande da non riuscire a esserne contenuta (ho sentito un commentatore da Milano dire che “ci siamo auto-bloccati per eccesso di gente”) non ha travolto solo i confini fisici dello spazio urbano, ma anche quelli politici dello spazio pubblico. Per la sua dimensione quantitativa, per la sua profondità e intensità, quella moltitudine era irriducibile alle tradizionali appartenenze, ai contenitori organizzativi, alle molteplici leadership. Rispondeva a un richiamo più interiore, una sorta di appello morale – la convinzione di non poter più assistere passivamente allo scempio di umanità che si compie sotto i nostri occhi – che si era accumulato nel tempo, come una molla che si carica e che di colpo deve scattare. La spontaneità è stata la chiave della mobilitazione. Quello che ha portato in piazza decine forse centinaia di migliaia di giovanissimi – la “generazione Gaza” è stata chiamata –, che neppure hanno l’età per votare, ma quella di pensare sì, e di condividere. Quello che li ha fatti incontrare con tanti altri, neppure classificabili per appartenenze politiche perché la spinta era etica. E, ancora, ciò che ha fatto classificare quello di ieri, pur convocato da sindacati di base e CGIL, come uno “sciopero anomalo”, o forse un “non-sciopero”, perché per una rara volta l’obiettivo non era materiale, salariale, legato a una qualche rivendicazione economica o normativa ma la tutela del rispetto di sé. Un credente direbbe la salvezza della propria anima e un laico lo rubricherebbe sotto la denominazione di “insurrezione morale”.
Questa è la Luna a cui guardare: ciò su cui tutti, umilmente, si dovrebbero interrogare per capire quello che gli succede sotto i piedi. Poi ci sono le dita, cui invece preferiscono affidarsi i troppi che a pensare non riescono, o non vogliono, e allora di fronte alle maree montanti si rifugiano dietro ai piccoli episodi di disordine, esibiscono le paranoie sui “nemici del mio governo”, mettono in piedi infime fabbriche del fango per denigrare quei pochi “capitani coraggiosi” della Flottiglia che con il loro atto hanno riscattato il vuoto morale dei propri governanti. Le chiamerei le “dita negli occhi”. A cui possiamo aggiungere le “dita corte” di quanti, e sono tanti, di fronte all’enormità di ciò che hanno sotto gli occhi, si chiedono se gioverà o meno a Elly Schlein in vista delle prossime scadenze elettorali. O se servirà a Maurizio Landini per ricuperare un ruolo al proprio sindacato, messo all’angolo dalla scomposizione del mondo del lavoro degli ultimi decenni.


