IL REALISMO SOCIALE DI CESAR RENGIFO

per Filoteo Nicolini

IL REALISMO SOCIALE DI CESAR RENGIFO

Sento a volte l’impulso a rituffarmi nei ricordi. Nello scrivere queste idee, mi muove capire la natura e l’essere del ricordo, perché la vita già passata abbia un senso, e quindi scoprirne la valenza. Nell’opera pittorica dell’artista venezuelano Cèsar Rengifo (1915-1980) ritrovo il mutamento che è avvenuto in me attraverso il ricordo custodito, che affiora quando ora sfoglio dopo anni il libro della sua opera. E vi vedo transitare figure alle quali la storia e il destino sembrano aver loro riservato la sorte peggiore. Addolorati, ma non sconfitti, questi abitanti delle disgrazie sono raffigurati spesso a piedi scalzi, sulla terra aspra o di fronte ai campi devastati dallo sfruttamento del petrolio, o quali rifugiati sulle colline di Caracas dove, esodati dalle campagne, hanno costruito le loro casupole alla men peggio. La prima immagine è il reclutamento forzato dei giovani, dove è palpabile la sofferenza e il dramma che l’artista fa suoi e porge allo sguardo. E allora mi pare di rivedere la gente del popolo e i campesinos che incontravo nei miei primi tempi appena arrivato in Venezuela, vestiti con semplicità e calzati eventualmente con ciabatte. Quelle casupole chiamate ranchos abbondavano sulle alture di Caracas, a contatto l’una con l’altra forse per approfittare la parete in comune. La promiscuità era diffusa, i servizi igienici deficienti, l’acqua potabile trasportata in alto a mano con recipienti. Nella valle, c’era la Capitale con i suoi edifici, centri commerciali, ville e residenze borghesi, strade asfaltate, avenidas e parchi pubblici; nei quadri di Rengifo si percepiscono sullo sfondo, irraggiungibili e fuori portata, come nell’immagine finale Ellos y la Ciudad.

Sempre ho avuto l’impressione, nelle persone con le quali avevo contatto professionale o sociale, di uno sforzo costante di superazione, desiderio di formazione, di migliorare le condizioni economiche, di partecipare alla vita culturale. Pure, quella che frequentavo era una minoranza, perché la società era popolata maggioritariamente per esseri resi invisibili o ignorati, cioè afrodiscendenti, indigeni, meticci. Mi colpivano particolarmente le differenze di condizione sociale evidenti sul territorio urbano delle città, dove a lato di edifici moderni e di urbanismo a livello europeo si addensavano borgate di costruzioni precarie e misere a dir poco. Mi furono vietate le cosidette zone rosse dove, si diceva, albergava insicurezza e criminalità. Eppure, una volta mi addentrai, non ricordo più il motivo. Come esprimere in parole quella sensazione provata entrando in una casa povera, se non evocando l’immagine del colore umile? Le pareti con colori spenti, stanchi, polverosi. Mi sedetti dove era possibile. Accettai una tazzina di caffè, riscaldato al momento, aperto al sentimento di chi ha poco, lo condivide e lo mette a disposizione. Soprattutto, ricordo il silenzio. Ma l’impressione dei colori spenti persisteva, rivelava l’esistenza fatta di carenze vissuta tra le quattro pareti.  Conobbi la Caracas delle classi alte, la zona dei Musei e degli eventi culturali, il Teatro Teresa Carreño, l’Ateneo, Los Espacios Càlidos, i Parchi. Caracas ed altre città erano a metà degli anni 80 sedi di mostre d’arte, di cinema e teatro di buona qualità. Quale contrasto più forte con la borgate povere ed emarginate!

Rengifo si forma nel Messico dei muralisti e della rivoluzione, e di ritorno esprime la sua convinzione che l’arte deve rivendicare le sue radici sociali. Nella “Recluta” (reclutamento) trasmette la tensione e il dramma vissuto nella Venezuela rurale, dove gli uomini sono trascinati da corde mentre gli strumenti di lavoro sono abbandonati a terra, la donna implora con accanto il bambino in una tensione percettibile da chiunque. Esseri umani e paesaggi si identificano e sembrano offrire la loro vera fisionomia di paesaggi spirituali contemporanei, nudi e crudi, come nell’immagine Ellos y la ciudad (Loro e la città).

Ricordo ora che imparai a riconoscere a poco a poco le impronte del mescolamento etnico conseguenza delle invasioni, conquiste e incontri tra popoli diversi, tra i nativi, gli originari dell’Africa e quelli di discendenza europea. Riconoscibili ad una visione attenta nei tratti fisionomici ereditati. Quel mescolamento ha fecondato anime, sensibilità e modi di essere, ma lascia sempre l’impressione di esclusione strisciante, di un velato razzismo nelle sfumature linguistiche. Rengifo nel suo pellegrinaggio artistico è stato sempre dal lato degli esclusi con il compito di dare loro voce e figura.

FILOTEO NICOLINI

Immagine iniziale: “LA RECLUTA” (IL RECLUTAMENTO

Immagine finale: “ELLOS Y LA CIUDAD” (LORO E LA CITTA’)

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