Il nuovo rapporto di Albanese. “Genocidio, colpa collettiva”

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Gisella Ruccia, Matilde Moro

Il nuovo rapporto di Albanese. “Genocidio, colpa collettiva”

Il nuovo dossier preparato dalla relatrice speciale indaga in particolare le «complicità» della comunità internazionale, a cominciare dalla vendita di armi e gli scambi commerciali dei partner di Tel Aviv. L’Ira di Israele: «La signora Albanese è una strega». Anche l’Italia l’attacca: «Il testo manca di imparzialità e credibilità»

Matilde Moro – editorialedomani.it – Il 28 ottobre la Commissione internazionale indipendente d’inchiesta sui Territori palestinesi Occupati ha presentato l’ultimo rapporto redatto dalla relatrice speciale Francesca Albanese all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Il dossier, intitolato “Il genocidio a Gaza: un crimine collettivo”, è un’accusa al sistema internazionale che, secondo la Commissione, avrebbe consentito a Israele di compiere continue violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale a Gaza negli ultimi due anni.

Al centro del lavoro sono soprattutto la vendita di armi e gli scambi commerciali dei partner di Tel Aviv e in particolare dell’Europa, «che resta ad oggi il principale partner commerciale di Israele», come sottolineato dalla stessa relatrice. Il commercio internazionale rappresenta infatti il 54 per cento del Pil israeliano, con l’Ue che costituisce un terzo del totale. Gli scambi commerciali italiani con Israele sono aumentati di 117 milioni di dollari negli ultimi due anni.

Per quanto riguarda i materiali bellici in particolare, si legge nel report, tra il 2023 e il 2025, 742 spedizioni di armi statunitensi hanno raggiunto Israele e da ottobre 2023 a luglio 2025 la Germania ha rilasciato licenze di esportazione individuali per un valore di 489 milioni di euro, pari al 15 per cento di tutte le licenze concesse a Israele in 22 anni. La strada del commercio di armamenti è però a doppio senso: nel 2024, le esportazioni di armi hanno rappresentato il 23 per cento delle esportazioni israeliane, la seconda quota più alta a livello globale.

Albanese, collegata online dal Sudafrica a causa delle sanzioni imposte contro di lei dall’amministrazione Trump, ha iniziato il suo intervento davanti alle delegazioni onorando le vittime e i sopravvissuti di tutti i genocidi, «compresi i nativi americani, in particolare il popolo Lenape, i primi custodi della terra su cui ora sorge la sede delle Nazioni Unite» a New York City.

Ha poi illustrato il contenuto e le conclusioni del nuovo rapporto, dedicato in larga parte alla complicità degli Stati terzi nell’ambito della condotta di Israele a Gaza: «Le forze israeliane compiono raid, arrestano e uccidono, mentre i coloni violenti bruciano villaggi, sradicano alberi, si appropriano di ulteriori terreni, compiendo pogrom dopo pogrom. Il mio rapporto lo chiarisce: Questi orrori non sono né improvvisi né accidentali. Sono il culmine di decenni di fallimenti morali e politici all’interno di un ordine mondiale coloniale resiliente, sostenuto da un sistema globale di complicità».

Una complicità fatta soprattutto di relazioni economiche e militari. Nonostante l’evidenza della situazione sul campo, «decine di paesi continuano a utilizzare dispositivi di sorveglianza che sono stati testati sul campo sui palestinesi».

Non si è fatta attendere la risposta di Danny Danon, rappresentante di Israele alla Nazioni Unite: «Signora Albanese, lei è una strega, e questo rapporto è un’altra pagina del suo libro degli incantesimi». La delegazione israeliana ha aggiunto che «dal 7 ottobre Israele sta combattendo due guerre, una per la nostra sicurezza e l’altra per la verità. In questa seconda guerra, la cosiddetta Commissione indipendente d’inchiesta è diventata un partecipante attivo dalla parte sbagliata della storia».

Dura anche la reazione della delegazione italiana: il rappresentante permanente alle Nazioni Unite, Maurizio Massari, ha definito il rapporto «privo di qualsiasi credibilità e imparzialità» e il contenuto «oltre i limiti imposti dal mandato specifico della relatrice speciale, che non include investigazioni su violazioni commesse da altri Stati». L’accusa finale: Albanese manca di «integrità, imparzialità e buona fede».

Di contro, fatta eccezione per Israele, Italia e Germania, le delegazioni presenti hanno espresso gratitudine e solidarietà per il lavoro svolto, oltre a un generale impegno a mantenere fede alla soluzione dei due Stati. Al centro del resto della discussione l’ingresso degli aiuti nella Striscia, la continuazione del cessate il fuoco e soprattutto il continuo peggioramento della situazione in Cisgiordania.

 

RAPPORTO ONU DI FRANCESCA ALBANESE
Gisella Ruccia del Fatto Quotidiano
La scena, in sé, sarebbe già grave: una relatrice speciale delle Nazioni Unite insultata nel tempio della diplomazia da un rappresentante di Stato. Ma lo è ancor di più se quella relatrice è italiana e se, a sconfessarla, è lo stesso paese in cui è nata e cresciuta. Durante la presentazione del suo rapporto “Genocidio a Gaza: un crimine collettivo”, la giurista Francesca Albanese è stata oggetto di una serie di interventi che hanno lasciato sgomenta gran parte dell’aula del Third Committee dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di New York, presieduta dal diplomatico thailandese Cherdchai Chaivaivid.
Israele l’ha apostrofata come “una strega fallita”, l’Italia ne ha messo in dubbio integrità e imparzialità, l’Ungheria ha invocato la “linea di pace del presidente Trump”, accusandola di un “pregiudizio cieco e anti-israeliano” e riproponendo la consueta calunnia della complicità con Hamas.
Il dato più significativo è che Israele, Italia e Ungheria sono i soli tre paesi ad aver respinto l’ultimo lavoro di Albanese, che dal 25 ottobre si trova in Sudafrica per la Nelson Mandela Annual Lecture e una serie di incontri con la Desmond and Leah Tutu Legacy Foundation. Non ha potuto recarsi di persona a New York a causa delle sanzioni statunitensi.
Nella grande sala del Third Committee, i delegati hanno ascoltato il lungo intervento della giurista, che ha illustrato i dettagli del suo rapporto di ventiquattro pagine: un’analisi puntuale della responsabilità di sessantatré Stati nella devastazione di Gaza, definita “strangolata, affamata, distrutta”, e la denuncia di “un ordine mondiale coloniale sorretto da un sistema di complicità istituzionalizzato”.
Il primo a prendere la parola è stato il rappresentante permanente di Israele, Danny Danon, membro del partito Likud, che ha tuonato contro la relatrice con toni offensivi, intimidatori e irridenti: “Il rapporto della signora Albanese non riguarda i diritti umani né la pace. Da anni diffonde retorica antisemita e calunnie sanguinose. Difende i terroristi e mostra disprezzo per Israele, gli Stati Uniti e l’Occidente.”
Poi la frase che ha gelato l’aula: “Signora Albanese, lei è una strega. Questo rapporto è un’altra pagina del suo libro degli incantesimi. Ogni accusa è un incantesimo che non funziona, perché lei è una strega fallita”.
Il politico e diplomatico israeliano ha poi citato con piglio compiaciuto le sanzioni statunitensi che hanno colpito Albanese, aggiungendo: “Ora dirige le sue maledizioni verso altre nazioni, i nostri alleati, partner e amici che sostengono la democrazia e lo Stato di diritto. Possiamo solo sperare che la sua stregoneria fallisca ancora una volta. Possano le sue maledizioni continuare a ritorcersi contro”.
Poco dopo ha parlato Maurizio Massari, rappresentante permanente dell’Italia, con parole più sobrie dell’omologo israeliano, ma non meno sconcertanti: “Il rapporto presentato oggi dalla relatrice speciale Albanese è interamente privo di credibilità e imparzialità. Come Italia, non siamo sorpresi. Il contenuto supera palesemente il mandato della relatrice, che non include indagini su presunte violazioni commesse da altri Stati o entità – ha aggiunto – né giudizi sulla cooperazione tra Paesi terzi e la Corte penale internazionale. Ancora più preoccupante è la completa inosservanza del codice di condotta per i relatori speciali, che include integrità, imparzialità e buona fede“.
Mentre Massari parlava, il presidente Cherdchai Chaivaivid ha disattivato l’audio del microfono: per alcuni secondi il delegato ha continuato a parlare nel vuoto, senza accorgersi che l’aula non udiva più nulla.
Dall’Italia, quindi, nessun segno di sostegno alla relatrice: né dopo le sanzioni, né di fronte agli insulti. Un’assenza di solidarietà che, più della critica politica, ha rivelato la linea di subalternità diplomatica che Roma ha scelto di mantenere sulla giurista italiana.
La terza voce contraria è stata quella dell’Ungheria, che ha espresso “preoccupazione per il pregiudizio anti-israeliano” del rapporto, difendendo “l’approccio di equilibrio del presidente Donald Trump come unica prospettiva realistica di pace”. Un intervento di maniera, utile soltanto a ribadire l’allineamento di Budapest alla nuova amministrazione americana.
Francesca Albanese ha replicato con tono fermo ma composto. La prima risposta è stata rivolta a Danon: “Finalmente il rappresentante di Israele, dopo tre anni, ha onorato questo mandato della sua presenza. Guardi, è grottesco e francamente delirante che uno Stato genocida non possa rispondere alla sostanza delle mie scoperte e la cosa migliore a cui ricorre è accusarmi di stregoneria. E così sia: quelli accusati di genocidio siete voi. Se allora la cosa peggiore di cui mi può accusare è la stregoneria, la accetto. Ma stia certo che se avessi il potere di fare incantesimi, non lo userei per vendetta. Lo userei per fermare i vostri crimini una volta per tutte e per assicurarmi che i responsabili finiscano dietro le sbarre”.
E ha aggiunto: “Voglio che tra il fiume e il mare, ebrei, musulmani, cristiani e laici vivano in libertà e godano dei loro diritti, non solo un privilegio per pochi. L’Ungheria si sbaglia: non è vero che non ho condannato Hamas, e mi sorprende che l’Italia, mio Paese d’origine, si unisca a questo coro privo di fondamento. Avreste dovuto citare esempi concreti, invece recitate i punti di discussione dell’ambasciatore israeliano”.
Poi, rivolgendosi a tutti i delegati, ha ammonito: “Dobbiamo essere onesti su ciò che stiamo affrontando. Ciò che Israele ha costruito non è affatto eccezionale. È l’ordine coloniale continuato e raffinato. Si tratta di dominio razziale e di espropriazione, aggiornati al nostro secolo e imposti con le armi e le tecnologie di questo secolo. E il Sudafrica dimostra che ciò che oggi sembra invincibile può di fatto essere spezzato quando legge, volontà e coraggio si allineano. Persino i muri più forti cadono. E in questa oscurità, milioni stanno resistendo. Scintille di speranza.”
La giurista ha proseguito: “Vergogna sui governi che si definiscono democrazie liberali e non riescono a frenare i poteri della loro polizia che cercano di mettere a tacere la coscienza, né a sostenere le centinaia di cittadini provenienti da tutto il mondo che continuano a rischiare la vita sotto forma di una flottiglia o di una marcia globale. Rompere l’assedio e fermare il genocidio è un obbligo che spetta agli Stati membri, come dimostra il gruppo anti-apartheid dei nostri tempi. Sono gli Stati a rimanere in silenzio e complici – ha sottolineato – Il popolo unito si sta sollevando. I lavoratori stanno scioperando in tutto il mondo. Il BDS (The Boycott, Divestment, Sanctions Movement, ndr) sta guadagnando nuovo slancio con più consumatori che boicottano strategicamente, aziende che disinvestono e istituzioni, dalle banche alle università, che stanno correggendo lentamente ma costantemente le loro pratiche. La domanda non è più se l’apartheid di Israele e il sistema globale di complicità che lo sostiene finiranno. Importa quando e come”.
Infine, un messaggio ai palestinesi: “Dalla durezza dell’occupazione a ovunque l’esilio vi abbia portato, guardando o subendo il genocidio, la vostra lotta è vista. La vostra resilienza è onorata e il mondo si sta risvegliando con voi e sarà al vostro fianco, come ha fatto con il Sudafrica fino alla vostra liberazione.”
Parole che, nella sala del Comitato, sono state accolte con un lungo applauso e che hanno risuonato come il rovescio esatto degli insulti che le avevano precedute.
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