Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Conte e i partiti del Novecento. Casaleggio dixit.
Secondo Casaleggio, Conte starebbe pensando a una cosa che “sembra più un’organizzazione sul modello dei partiti del Novecento che un movimento”. Non entro nella discussione che si sta sviluppando sul futuro dei 5stelle (che rispetto moltissimo), ma certo questo giudizio di Casaleggio è interessante. Dà l’idea di quel che sta accadendo e di quale sia (al di là di tante altre questioni) davvero la posta in gioco. Dietro la locuzione “partiti del Novecento” c’è un mondo, che va oltre il suo significato letterale per proporne uno più ampio, allegorico, ma quanto esplicativo. Quando si dice “partiti del Novecento” si accenna a un certo modo di agire politicamente (partecipazione organizzata, strutture, rappresentanza, istituzioni) e nello stesso tempo si dà una indicazione precisa di democrazia.
È come se si dicesse: da una parte c’è il “nuovo” (la leggerezza assoluta della politica, la sua liquidità, l’aziendalismo, la riduzione a tecnica amministrativa e assieme a comunicazione pura, oppure, ben distinta dalla prima declinazione, la partecipazione sì, ma assembleare e online) e dall’altra il “vecchio” (la politica, invece, nella sua consistenza effettiva, nel suo essere lotta, organizzazione, identità, partecipazione nei partiti). Casaleggio, dunque, è come se dicesse che Conte vuole questo “vecchio”, a dispetto del “nuovo” che il Movimento dovrebbe invece rappresentare.
Allora, delle due l’una: o Conte è quel populista di cui narrano i centristi, il mondo delle imprese, i suoi giornali, oppure è l’alfiere della democrazia rappresentativa, come mette in guardia Casaleggio. Non c’è un terzo. Essere indicato come il “vecchio”, in questo caso, fa chiarezza, taglia davvero la testa al toro. Perché se Conte vuole davvero la democrazia dei partiti, di cosa cianciano i renziani, gi orfiniani, Repubblica, Folli, Calenda e compagnia cantante? Se davvero Conte sta tentando di spostare il Movimento dentro il terreno consolidato della democrazia rappresentativa e delle istituzioni, a un passo dalla sinistra, allora vuol dire che dargli del populista serve solo ad alzare polverone per creare confusione e darne una immagine di comodo. Ma se non è Conte il populista, allora lo sarà inevitabilmente qualche altro. Magari proprio i suoi detrattori.
E qui per “populista” intendo chi fa strame della democrazia come agire politico organizzato di uomini e donne, per restituirci della stessa democrazia un’immagine sbiadita, una carta velina di chiacchiere mediatiche e di “duci” tecnici, che copre appena il cattivo odore dei soldi europei che devono arrivare alle imprese sani e salvi, invece che tramutarsi in risorse e servizi per i cittadini. Anche mettere le imprese prima del Paese è fare danno alla democrazia e all’agire politico. Sia chiaro. Pensate, allora, com’è la vita. In tanti gridano al populismo, lo fanno da giornali come Repubblica o dalle tribuna aziendaliste. Ma poi i populisti sono loro, quelli che sembrano stare dalla parte dei cittadini, ma che invece si trovano sempre, indefessamente, testardamente, da decenni, dalla parte delle imprese e dei potenti. Il vecchio, il vecchissimo, vestito di nuovo come a Carnevale. Una finta, un gioco, una presa in giro.


