Contraddizioni in seno al populismo

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti

Leggo su ‘Jacobin’ un’intervista a Enzo Traverso, che insegna alla Cornell University. A un certo punto lui dice che “gli anti-populisti” hanno riformulato lo slogan caro a Margaret Tatcher trent’anni fa: there is no alternative”. Proprio come durante la guerra fredda chi criticava il capitalismo era definito tout court un “totalitarista”, così “l’uso corrente del concetto di populismo è altrettanto strumentale e serve solo a immunizzare le élite al potere”. D’accordo ovviamente sul carattere ideologico della locuzione “there is no alternative” e sul fatto che si negasse, così, la possibilità di andare oltre il capitalismo. Solo che, poche righe dopo, lo stesso Traverso se ne esce in questo modo: “i populisti conosceranno successi e insuccessi, ma non mi sembra che siano in discussione le premesse che li hanno fatti emergere. Soprattutto perché – dice Traverso – non ci sono ancora alternative convincenti”. Gli anti-populisti sbaglierebbero quindi a riesumare la logica tatcheriana, ma d’altra parte oggi “non c’è alternativa” al populismo, alla risposta che offrono i populisti (ossia contrapporre élite e popolo, andando verso quest’ultimo qualunque cosa sia.

Io credo, in realtà, che questa affermazione sia ideologica quanto la prima: non si può dire che il populismo non abbia alternative, perché sarebbe come dire che il populismo “tecnicamente” è l’unico davvero capace di una risposta efficace. “Tecnicamente”, appunto. E la Tecnica non è altro che l’avversario più temibile verso la Politica, ossia verso la libertà di scegliere e schierarsi espressa da quest’ultima. La Tecnica (e dunque la Politica ridotta a Tecnica) nega alternative, parla di necessità, di efficacia, di adeguatezza, di determinatezza. Mi pare, quindi, che il ragionamento del conservatore tatcheriano e quello del populista odierno si sovrappongano almeno negli schemi mentali e nel carattere ideologico. In entrambi i casi non ci sarebbe alternativa. O con noi, o contro di noi.

In realtà la politica si compone di alternative, e non di altro. Mentre è la Tecnica, come dicevano, a non ammetterle logicamente. Proprio per questo anche al populismo ci sono alternative, e non si può affermare che esso sia “tecnicamente” insuperabile. La lotta non è e non può essere tra chi vuol lasciare tutto com’è, e chi invece si oppone ‘populisticamente’. Il terzo si dà, anche perché, se così non fosse, tutto si ridurrebbe a uno scontro secco tra alto e basso, élite e popolo, Stato e cittadini. Una specie di specularità: chi tiene per l’uno e chi per l’altro, come nel calcio, con tifo da curva annesso. In realtà, l’alternativa è ragionare sugli aspetti ‘orizzontali’, sul sistema politico preso per sé, su quello sociale, sulle strutture e i sistemi che tagliano ortogonalmente il rapporto verticale tra élite e popolo, su cui invece pare che oggi unicamente tutto debba giocarsi. L’alternativa c’è ed è quella di considerare la ricchezza istituzionale, l’articolazione politica, le differenze culturali, la tenuta del sistema sociale, la sua coesione, la complessità generale, invece di costringere rozzamente la dialettica a un ‘alto’ contro un ‘basso’, a spregio di ogni contesto istituzionale o politico o sociale.

È un mio convincimento che il populismo, proprio perché dà una lettura solo ‘verticale’ del conflitto e della crisi, sia inadeguato a opporsi ai conservatori. Ignora una complessità (entro cui si fissa la libertà della politica) che è invece assolutamente decisiva per ogni sviluppo futuro. Contrapponendo seccamente un alto a un basso, il populismo può al più puntare a ‘vincere’ un confronto elettorale, mostrandosi tuttavia del tutto incapace (per una rozzezza antecedente di analisi, di prassi e di proposta) a ‘governare’. Costringere tutto e tutti (non c’è alternativa!) alla logica alto-basso, vuol dire fare un notevole passo indietro rispetto all’elaborazione della sinistra storica europea nel corso dei decenni. Questa vertiginosa logica binaria è figlia della crisi, non è pronta a controbatterla davvero, gioca al tavolo come farebbe un qualsiasi conservatore. Non è un rimedio, semmai una cattiva medicina.

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