Corsie d’ospedale e discoteche
Abbiamo dato il meglio di noi stessi sotto lockdown. Una parte del Paese lottava contro il virus senza dire una parola, senza alzare la testa, pagando un tributo in vite. L’altra parte era chiusa in casa. Non c’era una frase fuori posto, sembravamo un esercito. Cessato il lockdown e cessata la fifa, è ricominciato il tran tran: la destra e i negazionisti hanno ripreso il loro circo mediatico e tutte le categorie sociali hanno ricominciato a battere cassa e a difendere i loro interessi come se piovesse. Il clima non è stato più quello della solidarietà, ma di rincorsa egoistica. Meno male che abbiamo il governo che abbiamo. Immaginate i negazionisti (“aprite aprite”) stanziati oggi a Palazzo Chigi.
Detto questo, penso alla riapertura delle scuole. Una sfida, quasi. Eppure le categorie interessate (a partire dai presidi) sembrano intente più a tutelarsi e a stabilire dei distinguo che altro. Non c’è la generosità degli infermieri, dei medici, dei lavoratori più umili e malpagati che hanno operato durante il lockdown (lavoratori delle pulizie, cassiere e operatori dei supermercati, per dirne solo alcuni). Immaginate solo se gli infermieri avessero disquisito durante i momenti più duri, se avessero spaccato il capello in quattro come fanno oggi altre categorie, se avessero pensato prima a se stessi e poi al bene comune, se avessero dibattuto sull’ipotetico danno prodotto dalle mascherine come fanno oggi taluni campioni. Immaginate la differenza tra una corsia di ospedale strapiena di sofferenza e una discoteca. Non accuso nessuno né faccio l’anima bella. Però, almeno un pochino, specchiatevi tutti nella vostra coscienza. C’è modo e modo di vivere.


