Autore originale del testo: Gianni Cuperlo
Oggi è il 17 marzo, si celebra l’anniversario dell’Unità d’Italia.
A pieno titolo è una data che compone il calendario civile del paese.
Non viviamo tempi dove esista spazio per retoriche di alcun tipo, e allora ho pensato che una cosa utile poteva essere recuperare alcuni appunti di una bellissima intervista sul Risorgimento che anni fa Simonetta Fiori raccolse da Emilio Gentile (Italiani senza padri. Intervista sul risorgimento, Laterza 2011).
Prendetelo come il mio modo di riflettere su un pezzo di storia che merita almeno di non finire negli archivi della memoria.
“Il nostro è un Risorgimento senza eredi a partire dal valore della laicità. Lo Stato unitario fu creato da una cultura laica e anticlericale, ma non anticattolica né anticristiana.
Oggi quasi tutti i partiti politici tendono a riconoscere alla Chiesa cattolica un primato morale e pedagogico nei confronti della collettività che si chiama Stato italiano.
Nel discorso politico oramai predomina un costante riferimento alla cattolicità come elemento fondamentale dell’identità nazionale. È una valutazione che finisce con il ridurre la portata universale dello stesso messaggio cristiano.
È povera una nazione che non riconosca un proprio patrimonio di valori, ideali e comportamenti etici condiviso da tutti cittadini indipendentemente dalla loro fede religiosa, come accade in altre nazioni.
L’Italia che realizzò il Risorgimento si proponeva tre obiettivi fondamentali: liberare l’italiano dalla servitù del dispotismo e del conformismo; conferirgli un senso della dignità come cittadino dello Stato nazionale; affermare il merito e le capacità dell’individuo contro il privilegio di nascita e di casta.
Un’aspirazione che si declinava con il sentimento del bene collettivo, motore del movimento nazionale per l’indipendenza e l’unificazione italiana, per divenire molto più tardi il fondamento della cittadinanza repubblicana.
Il significato nobile e semplice delle origini è quello di risorgere da uno stato di degradazione civile, individuale e collettiva, facendo propri quei valori di libertà e dignità sostenuti dalle rivoluzioni democratiche del Settecento.
All’inizio nella parola Risorgimento non è implicito il progetto di unificare l’Italia, ma di liberarla dall’Austria e conferire agli italiani una dignità di cittadini, simile a quella conquistata tra il Settecento e l’Ottocento da inglesi, americani e francesi.
Purtroppo oggi il nostro appare un paese vecchio che rischia di galleggiare alla deriva senza Stato né nazione.
Nel loro progetto alternativo allo Stato monarchico centralizzato i federalisti (Cattaneo, Gioberti) partivano dal presupposto che esistesse un’italianità culturale dai tempi di Dante, Petrarca e Boccaccio, un’italianità delle “cento città” che bisognava promuovere con la conquista della libertà e dell’indipendenza.
Interpellati sulle principali qualità, gli italiani indicano al primo posto non il senso civico, ossia la dedizione al bene pubblico, il senso dello Stato, il rispetto della legge che appartengono all’eredità del Risorgimento, ma l’arte di arrangiarsi che è la capacità di sopravvivere in una condizione precaria facendo anche appello alla furbizia. È questa la schizofrenia di cui siamo vittime: ci sentiamo molto italiani, ma non cittadini di uno Stato nazionale.
La particolarità è che in Italia la consacrazione della monarchia come suprema istituzione dello Stato unitario avviene attraverso la partecipazione decisiva di un movimento di ispirazione democratica, il moto garibaldino, il quale realizza ciò che forse non era nelle intenzioni immediate di Vittorio Emanuele II e neppure di Cavour.
Comunque non c’è stata la progressiva identificazione degli italiani con lo Stato nazionale nato dal Risorgimento. Anzi, al contrario, oggi molti ne vorrebbero il funerale, cosa che non accadeva mezzo secolo fa, e nemmeno un secolo fa.
Quello che distingue l’Italia dal resto del mondo occidentale e che altrove nessun partito al governo mette in discussione la nascita dello Stato nazionale, nemmeno là dove lo Stato è una federazione di nazioni o di nazionalità diverse, come gli Stati Uniti e la Svizzera.
L’anniversario del 1911, celebrato dall’Italia monarchica liberale, fu segnato da polemiche anche violente da parte dei cattolici, dei socialisti, dei repubblicani, dei nazionalisti.
Tolto il 17 marzo del 1861 non siamo riusciti ad avere una festa nazionale paragonabile, per la sua funzione unificante, al 4 o al 14 luglio.
Nonostante i tentativi fatti dalla storiografia per comporre i frammenti di una religione civile nell’Italia repubblicana, questa non c’è mai stata. La ragione è che la religione civile è una dimensione religiosa autonoma e indipendente dalla religione di Chiesa e pertanto può maturare soltanto dove non ci sia una Chiesa predominante.
I presupposti essenziali di una religione civile sono la separazione dello Stato dalla Chiesa e la laicità dello Stato.
Con la presidenza Ciampi si è recuperata la ricorrenza del 2 giugno e anche un certo sentimento patriottico. Diciamo che è stata introdotta una nuova ritualità patriottica, ma non c’è più una patria.
L’ideale risorgimentale della nazione italiana unificata in uno stato indipendente, ricordava Croce nella Storia d’Europa, era lo stesso che faceva sperare nella possibilità della formazione “di una nuova coscienza, di una nuova nazionalità” con dimensione europea, perché, precisava lo storico “le nazioni non sono dati naturali, ma stati di coscienza, e formazioni storiche”.
Storicamente il richiamo ai valori risorgimentali di libertà e democrazia fu all’origine dell’antifascismo dei liberali, dei repubblicani, dei socialisti liberali, dei cattolici democratici. E poi lo divenne anche per i comunisti.
Il Risorgimento forse rappresenta il momento più europeo della storia italiana. I patrioti sono in larghissima parte cresciuti, educati e formati in Europa e come tale andrebbe rivendicato come precursore di una concezione della nazione non direttamente nazionalista.
Per quanto riguarda il Novecento, non esiste il grande romanzo del Risorgimento.
C’è piuttosto il grande romanzo dell’Anti risorgimento: Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Lo è perché il suo tema centrale è un incombente senso della morte e della vanità della vita, quindi un’antitesi radicale del sentimento del risorgere a nuova vita che fu tipico del movimento nazionale: il senso di morte predomina nella decadenza dell’aristocrazia e accompagna la nascita del nuovo Stato”.
PS. Fine degli appunti. Troppo pessimisti? Forse no, forse solo ripensando con lo spirito critico necessario alle pagine del nostro passato capiremo meglio se avremo un futuro migliore.


