Autore originale del testo: Gianni Cuperlo
Fonte: Domani
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Decenni addietro, Victor Klemperer in un’opera ineguagliata (LTI. La lingua del Terzo Reich. Taccuino di un filologo, Giuntina 1998) descrisse il processo di mutazione delle parole e del loro significato messo in atto dal nazismo. Al fondo gli artefici del “male assoluto” non si erano ingegnati a creare vocaboli nuovi, avevano semplicemente rubato l’anima a termini che esistevano da prima. Che poi (non parlo da linguista perché non lo sono) è scontato che espressioni identiche possono dare forma a concetti diversi. Per dire, in filosofia una speculazione non equivale propriamente a far denaro in borsa.
Posta in questo modo l’editoriale del direttore Feltri sulle regole a base del possibile ingresso in politica di potenti influencer impone quasi per obbligo una riflessione sul linguaggio, quello attuale e il prossimo. D’altra parte quante copertine di inserti satirici degli anni settanta e ottanta, trent’anni dopo si sono trasferite direttamente nella cronaca condizionando l’agenda politica?
Ricordo alcuni formidabili finti-editoriali di Michele Serra su “Cuore”, l’inserto settimanale allegato a “l’Unità”. Prendeva simpaticamente in giro ministri, intellettuali, aspiranti leader. Una volta se la pigliò, per modo di dire, coll’incolpevole Natta e l’episodio scosse non poco l’ortodossia di un partito disabituato a far da bersaglio in quel genere di cose.
Da lì si è passati alla stagione successiva, quella dei talk di prima serata quando su reti pubbliche e commerciali hanno fatto la loro comparsa comici svezzati a burlare il potente di turno, sino ad allora però senza la variabile di avercelo davanti in carne e ossa, per altro ben disposto a ridere, o fingere di farlo, in cambio di un’ospitata sinonimo di notorietà. Per la verità, un’eccezione c’era stata, il Bagaglino della ditta Pingitore-Pippo Franco, ma non erano vere prese per i fondelli, somigliavano piuttosto all’innocua satira di regime che imita il potere al fine di compiacerlo.
Il ciclone Grillo, nel suo transito dal palco di Sanremo alle piazze del vaffa, ha segnato il vero balzo di qualità. Diciamo che ha sdoganato l’improbabile. Un comico visionario ha riversato una carriera di successo nel crescendo di una scalata allo Stato, e lo ha fatto, complice un intellettuale della rete più visionario di lui, con la capacità di issarsi a vette di consenso impensabili. Per cui si ha da stupirsi, ma entro certi limiti a scoprire che l’Impresa Fedez&Co. potrebbe a sua volta sbarcare sulla scena pubblica, questa volta non di fianco alla Berti e Achille Lauro. Magari le cose andranno come ipotizzato dal direttore e si tratta soltanto di un’abile mossa promozionale in vista del disco in uscita.
Sia come sia, nulla vieta di credere che da qui a un po’ di tempo l’impatto di social e followers corredati da numeri milionari concretizzi l’ambizione di qualcuno a trasferire quel po’ po’ di relazioni in una arrampicata al consenso. A quel punto credo si porrebbero due ordini di problemi. Uno, come detto, riguarderebbe le regole necessarie a impedire l’insorgere di conflitti di interesse potenzialmente giganteschi. Sponsor, contratti pubblicitari, il traino, esplicito o meno, di brand multinazionali: saremmo alle prese con un arcipelago sconosciuto di procedure e dinamiche sorte dentro e a lato della rete, ma soprattutto estranee a filtri e categorie in dotazione al legislatore.
L’altro problema, all’apparenza meno urgente ma chissà se davvero è così, starebbe proprio nella neo-lingua di quella neo-politica. “Ho un ballottaggio in uscita” potrà sembrare un paradosso, ma non lo è poi tanto se immaginiamo che negli ultimi giorni editoriali e commenti si sono interrogati sulle effettive intenzioni e strategie di marketing politico di un rapper milionario.
E allora guai (lo dico per primo a me stesso) cadere nel tragico riflesso della nostalgia sui “bei tempi andati”, che poi in tutto e per tutto tanto belli non dovevano essere, però mi sia concesso dire che tra Ugo Zatterin e Mal dei Primitives, almeno la distinzione dei ruoli risultava chiara. Una volta l’immenso Claudio Villa si lamentò perché entrato in un ristorante dove Berlinguer stava cenando a fine di un comizio non venne invitato a sedersi di fianco al leader comunista. Ecco, si lamentò per quello. Non per non avere ottenuto il posto di segretario del Pci per indubitabili meriti canori.
Comunque la si pensi, fa differenza.


