di Giovanni La Torre
Draghi, il debito e chi non ha ancora capito che …
Come emerge dalla cronaca politica, oggi lo schieramento politico si divide tra chi vuole che Draghi resti a Palazzo Chigi fino alla fine della legislatura nel 2023, e possibilmente anche dopo, e chi se ne vuole liberare se mai inviandolo al Quirinale, per poter andare alle elezioni anticipate. Di norma si dice che le due posizioni si spiegano con l’evidenza dei sondaggi. Infatti nella prima posizione si trovano Pd, Fi (e forse 5S), nella seconda Lega e FdI, cioè i partiti che pensano di conquistare la maggioranza nel futuro Parlamento. A mio parere, però, la motivazione è un’altra.
L’Italia ha un debito pubblico che ormai ha raggiunto quasi il 160% del Pil. Con un debito simile, e una volta finita la situazione psicologica legata alla pandemia, i governi italiani dei prossimi anni avranno una bella gatta da pelare. Al di là delle previsioni di crescita del Pil nel breve termine, più o meno ottimistiche e più o meno realistiche, ci aspettano anni di “lacrime e sangue”, come disse Churchill alla sua gente mentre si accingeva alla Seconda Guerra Mondiale.
Con queste previsioni, ecco che i partiti con maggiori esperienze governative, Pd e Fi appunto, hanno concluso che è meglio stare lontani dalla guida del governo e lasciarla, se mai anche dopo le elezioni, a un tecnico. Invece i neofiti del potere, Lega e FdI, e i loro leader in particolare, essendo meno esperti e meno “scafati”, ambiscono frementi a sedere su quella poltrona, non avendo capito che nei prossimi anni sarà molto scomoda.


