Draghi mette giù la maschera e comincia a scoprire le carte

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Giovanni La Torre
Fonte: i gessetti di Sylos
Draghi mette giù la maschera e comincia a scoprire le carte
Nel summit europeo di Porto il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha cominciato a calare le sue carte da autentico neoliberista. Nel suo intervento ha dichiarato che il mercato del lavoro in Italia è “ingiusto, penalizza giovani e donne”. Quando le agenzie hanno diffuso questa dichiarazione, riportata subito dalle edizioni online dei giornali, ho subito detto “eureka”. Poi però, conoscendo il mio pollo, sono andato a vedere l’intera dichiarazione, che è la seguente: «Troppi Paesi dell’Ue hanno un mercato del lavoro a doppio binario, che avvantaggia i garantiti – in genere i lavoratori più anziani e maschi – A SPESE dei non garantiti, come le donne e i giovani … Mentre i cosiddetti garantiti sono meglio retribuiti e godono di una maggiore sicurezza del lavoro, i non garantiti soffrono un vita lavorativa precaria. Questo sistema è profondamente ingiusto e costituisce un ostacolo alla nostra capacità di crescere e di innovare».
Quindi il precariato in Italia, che interessa soprattutto giovani e donne, non è causato da quelle imprese che hanno scelto di battere la concorrenza sul piano dei costi promuovendo, appunto, l’assunzione di lavoro precario al posto degli investimenti in innovazione e tecnologie, ma è colpa di quei lavoratori che hanno un contratto regolare. Eh sì, perché costoro, come si sa, guadagnano 10 mila euro al mese che sottraggono ai giovani che sono costretti a consegnare le pizze a domicilio per qualche euro al giorno. E questo, udite! udite!, sarebbe un ostacolo alla nostra crescita e innovazione.
Ma, caro Presidente Draghi, è arcinoto nella teoria e nella prassi economica che è vero proprio il contrario, perché è il rendere vile il costo del lavoro che disincentiva l’investimento. Investire in un macchinario o in un progetto di ricerca, comporta una certa rigidità e rischio che invece l’assunzione di un lavoratore precario non comporta, perché quando l’impresa se ne vuole disfare gli dà un calcio nel sedere e via. E’ proprio a causa di questo calcolo scellerato che il nostro sistema economico denuncia un’imbarazzante stasi ventennale della produttività, nonostante tutte le leggi sul precariato (dalla legge Treu al Jobs act) che invece, a detta dei promotori e sostenitori, avrebbero dovuto promuoverla.
In alcuni momenti può essere anche giustificata una più spinta flessibilità, ma deve essere vincolata, come ha fatto la Germania venti anni fa, a precisi programmi di ristrutturazione e riconversione aziendale.
Quando i neoliberisti alla Draghi parlano di sperequazione nel mercato del lavoro proponendosi di riformarlo, mi vengono i brividi, perché loro pensano a un’eguaglianza al ribasso: rendiamoli tutti precari, così saranno tutti uguali.
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