Fonte: La Stampa
Più che mettere altre toppe è meglio se il governo si concentra sulle cose da fare senza inventarne altre: pur con poteri limitati basta dar corso alle decisioni politiche già assunte ed al Paese non si fa certo del male, anzi. Senza la distrazione di pseudo-riforme lavorerà meglio» sostiene Fabrizio Barca, economista ed ex ministro della Coesione. Oggi Barca coordina il Forum disuguaglianze e diversità, think-tank nato dall’unione tra organizzazioni di cittadinanza e ricerca, che in questi giorni ha lanciato una grande campagna di crowdfunding dal proprio sito. «È chiaro – spiega – che di fronte al salto del costo della vita se vengono meno una serie di tamponi le fasce più vulnerabili della popolazione sono particolarmente colpite. Ma appunto vengono meno dei tamponi, che di norma servono solo a prolungare l’agonia. Il Paese invece ha bisogno di un cambio di rotta e, ad esempio, la riduzione del cuneo fiscale non lo è».
E come si inverte la rotta?
Però se a settembre vincono Meloni e Salvini han già detto che la flat tax soppianterà il reddito di cittadinanza, che verrà smontato.
«Beh, questi sono interventi radicali che però vanno contro l’interesse di una larga parte della popolazione oltre che essere regressivi dal punto di vista fiscale. Verrebbe cancellato uno strumento a favore delle persone che sono senza mezzi, che esiste ovunque nel mondo. Però non sono ancora al governo».
E quindi?
«Per contrapporsi a chi propone queste cose bisogna parlare alle stesse fasce sociali, cioè alle persone colpite dall’enorme aumento delle disuguaglianze, dando loro un messaggio altrettanto radicale. Se guardiamo alla composizione della base elettorale di Fratelli d’Italia ci ricorda quella del Partito Comunista Italiano degli anni Settanta. Si tratta ad esempio di operai, che in Italia esistono ancora visto che siamo la seconda potenza industriale d’Europa, e se Fdi ha quel seguito vuol dire che quei lavoratori e quelle lavoratrici non ritengono che i partiti di centrosinistra stiano proponendo loro nulla».
In concreto che bisogna fare?
«La vicenda del salario minino è simbolica da questo punto di vista: se si desse loro la garanzia di avere condizioni minime di retribuzione, una riduzione del lavoro irregolare attraverso un impegno fenomenale nelle ispezioni e se si modificassero le normative attuali sui tempi di lavoro, evitando che milioni di donne continuino a lavorare a tempo parziale in maniera involontaria e “a sorpresa”, se si dessero segnali così il centrosinistra tornerebbe a parlare a loro. Quindi lo scenario che ha delineato non è detto che si realizzi per forza. E se peraltro la destra dovesse andare al governo e fare scelte di questo tipo dopo un anno e mezzo il Paese farebbe crac, sia sul piano della tenuta economica sia da un punto di vista sociale, perché i milioni di persone che li avranno votati capiranno di avere commesso un errore gravissimo».
Berlusconi intanto propone di alzare a mille euro tutte le pensioni al minimo…
«È la solita genialità berlusconiana che intuisce la paura dei percettori di alcune pensioni bassissime, su cui peraltro già oggi interviene il reddito di cittadinanza. Ma il messaggio vero, subliminale, è rivolto ai tanti giovani che già oggi sanno che non vedranno niente. Ed è la vecchia destra che distribuisce sussidi senza neanche aver immaginato le coperture».
E invece la sinistra cosa dovrebbe fare?
«Dovrebbe attaccare la precarietà del lavoro e il part time involontario e trasformare il ricambio generazionale della Pa in un grande moto di rinnovamento culturale del Paese, così i giovani le pensioni le avranno. Questo fa una sinistra: anziché sussidiare a valle, modifica i processi di formazione della ricchezza a monte».
Oggi in Italia, dunque, non c’è un’offerta politica che risponde ai bisogni dei più fragili?
«No, non c’è una risposta».
E non c’è nemmeno un Melenchon italiano all’orizzonte?
«Melenchon? Francamente non so se nella sua borsa degli attrezzi ci sono le proposte strategiche radicali che servono a cambiare rotta».
In tanti oggi si aggrappano alla cosiddetta “agenda Draghi”. Può bastare?
«No comment. Un’agenda Draghi non c’è mai stata e tanto meno l’ho letta nel discorso formale pronunciato in Senato. Anzi c’è stata la spesa di tanti soldi senza un disegno strategico».
Sicuro?
«Ma stiamo scherzando! Se penso ad esempio alle rinnovabili questo è un paese che ha solo frenato: abbiamo una montagna di imprese pronte a realizzare nuovi impianti e siamo fermi. Non solo, ma l’Italia non ha nemmeno un piano di adattamento al clima. Su questi temi l’intero governo non è stato capace di produrre».
E il Pd? Il campo largo adesso non c’è più: che deve fare?
«Campo largo? Mi pare si parta dalla fine. Io conosco due cose: obiettivi strategici e metodi di selezione delle candidature, è il mix di questi fattori che conta, poi “campi” larghi o stretti che siano si definiscono attorno a obiettivi strategici che vengono condivisi, con alleanze».
Però c’è il tempo per farlo? Si vota fra due mesi appena…
«Se volessero potrebbero farcela, basta mettere sul tavolo proposte convincenti. Noi come Forum abbiamo partecipato alle agorà del Pd e su 900 proposte selezionate le nostre sono state le più votate arrivando ai primi cinque posti. Tra queste ci sono l’eredità universale per tutti i giovani, finanziata dal ripristino di una tassa progressiva sulle successioni, la creazione di consigli del lavoro e della cittadinanza per una “partecipazione strategica” alle scelte sugli investimenti, e la costruzione di un hub europeo pubblico che faccia ricerca e sviluppo di farmaci affinché l’ultimo miglio non venga monopolizzato da qualcuno. Prendano quelle e ne aggiungano altre, radicali, e poi selezionino le candidature in maniera trasparente, magari con chiamata alle armi dei tanti giovani di valore presenti in tutti i campi, e si può fare. Bastano venti giorni».


