Gaza, come è cambiata la storia dopo due anni di massacri

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Anna Foa
Fonte: La stampa

Gaza, come è cambiata la storia dopo due anni di massacri

Oggi a essere condannata è una intera Nazione senza distinzione tra chi sostiene la guerra e chi no

Due anni fa il terribile pogrom del 7 ottobre che ha dato inizio, o almeno così è sembrato, al drammatico cambiamento del Medio Oriente. Due anni fa, a quest’ora, ascoltavamo con orrore le notizie provenienti dai confini con la Striscia di Gaza, chiamavamo gli amici in Israele per averne notizia, cominciavamo a percepire con fatica che il mondo da allora sarebbe stato diverso. Un atto di terrorismo gravissimo, con tanti morti assassinati, tanti ostaggi, il trauma dell’intero Paese. Un atto senza nessuna possibilità di essere interpretato come un atto di resistenza legittima. Una mattanza.

E in questi due anni il mondo è effettivamente cambiato. Abbiamo assistito in diretta a quello che viene ormai definito dai più come un genocidio, oltre sessantamila morti a Gaza, abbiamo visto la proclamazione della forza assoluta da parte di quella che consideravamo l’unica democrazia del Medio Oriente, abbiamo dovuto confrontarci con immagini che non avremmo mai pensato di vedere (colpa nostra, perché possiamo vederle in molte altre parti del mondo, a cominciare dall’Ucraina aggredita dai russi), abbiamo visto gli effetti della fame indotta quando appena a pochi metri di distanza marciscono i rifornimenti alimentari bloccati.

 

le opinioni pubbliche di gran parte del mondo, Italia compresa, si sono schierate con le vittime innocenti di quelle conseguenze: non Hamas, certo, ma l’intero popolo palestinese. Israele vive ormai in un isolamento inimmaginabile, che i generosi sforzi di una parte del suo popolo, schierato contro il governo e la sua guerra, non riescono a colmare.

Coloro che considerano questo massacro di civili una guerra difensiva di Israele sostengono che questo rivolgimento dell’opinione pubblica è stato immediato, che è frutto dell’antisemitismo che è divampato a sostegno dei terroristi di Hamas.

Non è così, ricordo l’orrore e la condanna dei primi giorni. Ma è vero che non è passato molto tempo. Forse uno dei momenti chiave di quel rivolgimento è stata l’affermazione del segretario dell’Onu António Guterres che il 7 ottobre aveva radici lontane. Affermazione che subito il governo estremista di Israele, deciso a tacciare il resto del mondo di antisemitismo e soprattutto a delegittimare qualsiasi forma di autorità giuridica internazionale, ha interpretato come se fosse stato sostenuto dall’Onu che il 7 ottobre era stata una più o meno legittima risposta alla situazione dei palestinesi.

 

Non era così, era semplicemente un’affermazione secondo la quale alle radici del conflitto, e della forma terribile che assumeva c’erano, oltre alle scelte terroristiche di Hamas, l’occupazione e l’oppressione dei palestinesi. Occupazione che perdurava da decenni, nonostante le dichiarazioni contrarie dell’Onu. Occupazione che come tutte le occupazioni implica oppressione, espulsioni, dolore. Un «elefante nella stanza», come lo hanno chiamato in Israele gli oppositori del governo.

 

 

È forse da allora che le strade si sono drammaticamente divise: e mentre Israele distruggeva sistematicamente in questi due anni la Striscia di Gaza e ne massacrava gli abitanti, il mondo, guardando tutto questo in diretta, reagiva senza troppo distinguere fra ebrei e israeliani, fra quegli israeliani che sostenevano la guerra e chi vi si opponeva. Ma isolando, condannando un’intera nazione, giudicando come fa spesso chiunque veda l’esaltazione della forza, la demolizione del diritto, i cadaveri di civili che si accumulano sotto le macerie. E oggi, nel secondo anniversario del 7 ottobre, Israele è, ci sembra, molto più sola.

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