Geopolitica del voto in Emilia Romagna

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Fausto Anderlini

Prima che questo voto vada in cavalleria, sotto la coltre di immani cazzate pseudo analitiche, e prima che la letargia mi intorpidisca la mente, mi punge di consegnare ai naviganti due o tre stringatissime riflessioni geo-sociologiche.

1. La geografia del voto è assolutamente in linea con la struttura di lunga durata, quale si fissa sin dai ’40 e ’50 del secolo scorso. Bonacini e la coalizione a supporto trionfano nella metropoli diffusa della Via Emilia, cioè nella core-area urbana della regione, mentre il fascio-leghismo dilaga nelle periferie territoriali della montagna e della bassa pianura di nord-est, dove la destra (prima in formato ‘bianco’ poi, a partire dai ’90, in formato lego e/o forzitalico) ha sempre avuto i propri presidi dominanti e/o ambienti isolati di nicchia.

2. Mentre il cuore della sub-cultura socialista delle origini aveva il suo portatore nei salariati agricoli della pianura, il fuoco territoriale della sub-cultura comunista era costituita dalla cintura mezzadrile a contorno delle città. Sin dai ’60 e fino ai ’70 inoltrati questo spazio geo-politico si rafforza mano a mano che nelle città i nuclei originari di classe operaia vengono infoltiti dalla nuova classe operaia di estrazione rurale proveniente dalle campagne appoderate a contorno dei centri. Oggi in questa area territoriale totalmente urbanizzata è racchiusa la più gran parte del potenziale demografico ed economico della regione: la più avanzata economia dei servizi e le componenti più forti del sistema manifatturiero. Ovvero gli ingredienti del ‘modello emiliano’ quali si sono riarticolati nel passaggio alla fase matura dell’urbanizzazione: manifattura export oriented, producer service, welfare e cultura. Questa continuità delle trasformazioni sull’asse della Via Emilia ne ha mantenuto inalterata la colorazione politica, che oggi è tale e quale quella stessa dell’epoca in cui l’asse era caratterizzato da una economia agraria mezzadrile a contorno di città relativamente isolate e gravate di forme urbane tradizionali (‘Studio, aratro, mercatura’).

3.Come in ogni altra parte del paese, specie a nord e a sud delle linee delle risorgive, la destra aveva i suoi falò in due ambiti: le periferie territoriali basate sui contadini autonomi (aree montane e crinalizie a dominante cattolica ‘bianca’) e i quartieri alti e centrali presidiati dalla borghesia nelle città (anche con forte impronta liberale). Anche questa geografia trova riscontro nella realtà odierna, ma con una torsione quasi esclusiva della componente territoriale. Con straordinario effetto di compattamento.ed uniformizzazione. Il campo di forza passa ivi da pre-dominante a dominante, travolgendo le persistenze territoriali storiche della sinistra più prossime (come la montagna reggina, quella bolognese e quella romagnola). Ma la vera novità è il cambio di campo della bassa orientale modenese e di tutto il ferrarese, dove la destra godeva in passato di un unico isolato radicamento nell’alto ferrarese. Qui la Lega aveva costituito una testa di ponte già nel 2010 ed è poi progressivamente dilagata a fasi alterne sino all’attuale emersione, totalmente anomala, di un blocco territoriale nord-orientale nella regione, spianando il sedimento politico rosso dell’originario mondo bracciantile. Vari elementi contingenti possono spiegare questo ribaltamento: cattivo rendimento amministrativo e scelte localizzative (Comacchio entra in fermento in seguito alla questione ospedaliera), crisi bancarie e delle cooperative di costruzione (come nel caso di Argenta: sistemi di ‘socialismo municipale cooperativo con caratteri chiusi analoghi a quelli dei primordi), dulcis in fundo lo stesso terremoto i cui effetti di rottura sul legame sociale e la delega fiduciaria storica sarebbero tutti da analizzare (come del resto nel caso umbro e in quello marchigiano). Vero è che quest’area presenta certi tratti storico morfologici e funzionali analoghi a quelle delle aree interne del nord e del triangolo industriale in specie (la Lomellina, la bassa vercellese e novarese, l’area lodigiana, l’alessandrino e il retroterra ligure, la bassa mantovana e veronese, il rovigotto….). Aree dove le subculture rosse a base storica bracciantile sono implose sotto la spinta egemonica della Lega e della stessa ‘forza Italia’, a partire di ’90 del secolo scorso. In concomitanza con il collasso del Psi e la sofferta trasformazione del Pci. Ma qui non è il luogo per approfondire ipotesi causali di tipo socio-economico e politico-culturale. Volendo richiamare solo la constatazione che si compie in Emilia un processo che altrove si è realizzato con almeno venti anni di anticipo.

4.Nel complesso la nuova geografia conferma quella storica assai più di quanto la sovverta. La vera differenza è la rottura dei gradienti che un tempo sfumavano i rapporti fra i due sistemi geo-politici e il compattamento interno dei due sottosistemi. La destra nel nuovo formato lego-fascista si rafforza ma non sfonda, essendo di soli tre punti al di sopra del suo trend di lungo periodo. Ciò che conquista nel territorio periferico è compensato da ciò che il campo della sinistra guadagna nella core-area metropolitana. Nelle città, specie sull’asse centrale che va da Bologna a Parma, il divario è letteralmente abissale, come del resto nell’intero hinterland industriale-residenziale che fa da contorno all’asta dei poli centrali. A Bologna la destra si ferma al 30 % ed è più che doppiata dal voto a sinistra: un minimo storico assoluto. A Modena e Reggio il divario supera i 20 punti, a Parma (pure nel suo assoluto isolamento rispetto al suoi humland) il divario supera i 10 punti.

5. L’analisi nel dettaglio del caso bolognese permette di cogliere la portata del processo di omogeneizzazione infra-areale del voto. A Bologna il voto sino a un tempo recentissimo rispecchiava il cleavage di classe secondo un gradiente che andava dal centro alla periferia e dai quartieri pregiati collinari a quelli della downtown popolare. Oggi questo cleavage risulta totalmente spianato (con la sola debolissima eccezione della zona colli dove l’alta borghesia premia la Lega co con un 40 %…..a proposito della base popolare dei fascio leghisti urbani…). Ovunque, al centro come in periferia, ed anche nei quartieri alti la sinistra si assesta oltre il 60-65 % con minime varianze. Cioè è egemonica quale che sia il contesto socio-demografico e l’imprinting storico-culturale.

6. Quelle che emergono sono perciò due regioni in una fieramente e drasticamente divise, con fratturazione verticale prima sconosciuta. Paradossalmente assai più marcata di quanto il voto era la nomenclatura di classi contrapposte e altamente omogenee al loro interno. Il dato saliente è proprio questo: che la predicibilità del comportamento di voto non è più determinata dall’appartenenza di classe, ma dal più generico contesto socio-culturale. Dove tutti i precedenti cleavages si sono condensati in uno solo: quello fra i centri metropolitani e le ‘aree interne o periferiche’. Qui non ho tempo di dettagliare trasformazioni che coprono almeno un ventennio evolutivo. Ciò che mi preme ora sottolineare è che entrambi i blocchi politici hanno una comp0sizione pluriclassista. La classe operaia e gli strati marginali si trovano in entrambi gli schieramenti. Semmai la diversità riguarda due tipi di classi medie nettamente differenziate e capaci di aggregare attorno a sé le altre classi: il lavoro autonomo e piccolo padronale nella periferia, le classi medie istruite nei centri.

7. Ne consegue che e’ profondamente inesatta la tesi che interpreta il contrasto centro-periferia come un contrasto di classe sul tipo operai/capitale, anzichè come una frattura ecologico-culturale. Così come è strampalata la tesi che in campo ci siano due destre e poco altro. Le classi contano eccome, ma come memoria, mentalità, cultura e capacità di involvere gli ambienti in trasformazione, conferfendogli identità, piuttosto che come variabile funzionale. Questo non vuol dire che le periferie vadano date per perse e non riconquistabili. Ma solo che per riuscire nell’impresa bisogna studiare con attenzione le nuove dinamiche.

Buona notte.

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