Gianni Cuperlo: Pensioni

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Gianni Cuperlo
Torniamo una volta ancora sul capitolo pensioni. E facciamolo perché sull’argomento si è aperta di nuovo una discussione piuttosto accesa anche alla luce delle scelte che il governo è chiamato a fare nell’ambito della prossima manovra di bilancio.
La lettura di parecchi giornali (superare Quota 100 significa tornare alla legge Fornero) è sbagliata per alcune ragioni, ma quella più importante è che la legge Fornero non è mai stata superata, tantomeno lo ha fatto il provvedimento in sé iniquo voluto dalla Lega e denominato appunto Quota 100.
Come tante volte è capitato di scrivere qui sopra, quella misura ha favorito essenzialmente lavoratori uomini del Nord con una occupazione stabile e una continuità contributiva pari ai 38 anni.
A rimanere fortemente penalizzate sono state le donne e in generale i lavoratori con una attività discontinua e relativi contributi versati senza regolarità.
Ora l’idea di ritornare progressivamente al sistema precedente attraverso la soluzione paventata di Quota 102 e 104 determinerebbe più o meno gli stessi limiti con l’aggiunta che la platea di chi potrebbe beneficiarne (secondo le stime dell’Inps e della Cgil) sarebbe piuttosto limitata (circa 10.000 persone nei due anni che sono ipotizzati per l’uscita a 64 e 66 anni con 38 di contributi).
La spiegazione è legata al fatto che Quota 102 servirebbe, nello specifico, a chi era molto vicino a Quota 100, nel senso che aveva raggiunto l’età anagrafica (62 anni) ma non ancora i 38 anni di contributi versati.
In altri termini, il punto non è ritornare alla legge antecedente a Quota 100: il punto è capire che bisogna differenziare il trattamento di uscita privilegiando le lavoratrici e i lavoratori che hanno sostenuto nel corso della vita attività (lavori) gravosi e pesanti perché è in questo che si concretizza un principio di maggiore rispetto delle persone (non facendo parti uguali tra disuguali).
L’altro capitolo fondamentale che qualunque intervento di riforma deve aggredire riguarda i giovani “senza quota“, quelle generazioni che da molto tempo sono condannate a una condizione di precarietà e sotto occupazione (nel senso di essere anche sottopagati) e che, stando alle regole attuali, si vedono negata la prospettiva di una pensione dignitosa (o anche, meno che dignitosa), prima dei settant’anni e oltre.
In questo caso la strada è legata a un fondo pubblico di sostegno alla capitalizzazione di pensioni compatibili con un futuro livello di dignità dell’esistenza per chi (i post-1996) ha iniziato a lavorare tra la fine del vecchio secolo e l’inizio del nuovo in una condizione interamente “contributiva” (vale a dire: “prenderai quanto hai versato”).
Bene, infine, il varo della riforma che prevede ammortizzatori universali, con la cassa integrazione estesa anche alle imprese sotto i cinque dipendenti (includendo i negozi di quartiere).
Traduzione del post: sostegno leale e convinto al governo che c’è, ma rivendicazione altrettanto leale e convinta di una agenda che guardi alle fasce sociali più colpite in una logica coerente di redistribuzione di risorse e opportunità.
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