Gli angeli e le persone che siamo

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

Ho un grande rispetto per chi si prende cura, soccorre, si adopera spesso a proprio rischio e molto faticosamente della vita altrui. Il mio cuore batte per loro. Quello che non capisco sono i titoli di giornale: per il titolista costoro sono indubitabilmente ‘angeli’. Ma perché? Perché questa moda? Si tratta di donne e uomini bravi e coraggiosi che fanno il loro mestiere, che ottengono risultati importanti e alleviano la sofferenza, ma perché ‘angeli’? Forse gli altri sono tutti diavoli? Forse il bene sulla terra è un monopolio, e così il male? Se qualcuno mi definisse angelo, rivendicherei la mia identità, direi che sono un uomo in carne e ossa con tutti i limiti e i difetti. Mi sembra più giusto e più corretto. Parliamo di donne e uomini, non di entità purissime. In un mondo ormai privo di sentimenti religiosi, del tutto schiacciato sui beni di consumo e sulle ‘cose’ (sul loro possesso, sullo status che esse donano, e sui patrimoni personali) questo invocare e riconoscere ‘angeli’ sa di spudorata ipocrisia. Un’ennesima truffa ideologica.

Prendete un altro caso: l’anima. Anche qui i titoli di giornale abbondano di invocazioni, come quella di dare un’anima alla politica oppure a un partito, come se si potesse insufflare uno spirito a cose che ne sono prive. Come se fossimo, altresì, anche capaci di farlo. Le cose non hanno un’anima, magari vorremmo che la avessero, così che il nostro desiderio compulsivo del loro possesso sarebbe interpretabile addirittura come una ‘salvezza’ e le cose fossero ‘sacre’. E invece no. Il mercato non ci salva, e nemmeno il nostro carattere di acquirenti a rischio compulsivo. La salvezza, se esiste, non può derivare dal possesso dei beni e delle merci, ma dalla presenza degli altri: le altre donne, gli altri uomini, a partire da quelli più disagiati e sofferenti. Curarsi delle persone, del bene comune, della ricchezza sociale, potrebbe essere motivo di una qualche ‘salvezza’ pubblica. Ma anche qui, non avremmo di fronte angeli ma persone: donne, uomini bravi, appassionati, competenti. L’altro non è davvero altro, ma qualcosa che ci è vicino, ci appartiene, è simile a noi per quanto diverso. Questo dovrebbe incoraggiarci a occuparcene senza la necessità di sentirci angeli e senza l’alibi di non esserlo affatto.

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