Autore originale del testo: Alfredo Morganti
House of card, Borgen, Scandal: l’orgia del potere che raccontano i serial.
Non so quanti di voi abbiano visto ‘House of Card’, o ‘Borgen’ oppure ‘Scandal’. Le prime reazioni sono state di sicuro: addirittura, che esagerazione, ma ti pare! In ciò convinti che la politica non possa essere quella carneficina (anche letterale) narrata sui serial. Ma poi, uno ci pensa un po’, e un po’ di somiglianza con la politica-politica ce la trova, o meglio vede rappresentata in tv un certo tipo di politica, quella totalmente dedita alla conquista e alla conservazione del potere, raccontata naturalmente secondo la spettacolarità di plot e canoni televisivi.
La politica come conquista e mantenimento del potere, questa è la declinazione “realistica” che la tv sa raccontare benissimo (anche se esageratamente). E questa è anche l’immagine che si tende a propagare dal pulpito dei media e delle piattaforme digitali. Una visione all’americana, da far west, come se si trattasse di un mondo a parte, che risponde ad altre regole non a quelle comuni. Visione nuda e cruda ma quanto diffusa ormai nell’immaginario collettivo.
Che cosa significa, cosa ci dice tutto questo? Che della politica è possibile avere “visioni” diverse, immagini anche opposte, che potremmo paradigmaticamente porre su un asse che va dalla seduzione del potere sino alla politica come servizio, e nel frammezzo diverse gradualità. Ci dice pure che la tv sceglie, ovviamente, la visione più omogenea al mezzo che è, quella che fa più spettacolo, che richiama canoni tragici o drammatici di successo, che ha più appeal verso un pubblico che vuole il colpo di scena, il tradimento, il gesto, le figure forti, il ribaltamento, secondo le più tipiche nozioni narrative.
Il punto è: la politica è davvero tutta qui, è davvero nuda, davvero danza attorno al trono, davvero è adorazione del potere e basta? No, ovviamente. Quello che viene narrato è soltanto l’assunzione di una logica e di un format mediale, più la condizione reale, questa sì, in cui versa la politica oggi: oramai disancorata dalla sua base sociale, che si affida solo ai sondaggi per tastare il polso del “corpo” elettorale, che vive con regole che appaiono lontanissime da quelle pure imposte a chi vive nel fondo della piramide. È così da sempre? Non lo so. Di sicuro lo è oggi. Per ragioni profonde, culturali, non solo per la malevolenza degli attori coevi.
Che fare, quindi? Ripristinare nelle forme e nei modi più efficaci una “forma” della politica quanto più distante dall’orgia del potere (come avrebbe detto Costa Gravas) che fa spettacolo in tv. E ripensare la politica come agire, come servizio, come bellezza, come partecipazione organizzata. Non più solo come tecnica, compito professionale o sovranità. È un bel compito, entusiasmante, che la sinistra dovrebbe assumere con lealtà e onore verso i cittadini e i lavoratori che si sentono parte di questo campo. Ci vuole realismo certo, ma non solo. L’eccesso di realismo è una conservazione, è il cambiamento che non cambia. Forse è da qui che si dovrebbe ripartire.


